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Il Kursaal e l'Aurum. Storie del rione Pineta Dannunziana

La storia di una zona che da paludosa si trasformò in zona divertimenti fino a diventare, oggi, un centro polifunzionale orgoglio di Pescara

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Agli inizi del ‘900 la Pineta Dannunziana era una zona paludosa, insalubre e completamente abbandonata. L’amministrazione comunale decise allora la valorizzazione turistica dell’ area e dopo averla acquistata dal demanio, maturò l’idea di trasformarla in lotti edificabili con un piano regolatore che avrebbe dovuto creare uno spazio di “divertimento e ricreazione”.

Il compito di progettare l’intero nuovo quartiere turistico-residenziale della Pineta venne affidato all’ing. Antonino Liberi cognato di Gabriele D’Annunzio, ma quello che l’ingegnere immaginava andava oltre il semplice quartiere balneare, ipotizzava infatti una vera e propria “Città Giardino” con uno stabilimento balneare, uno stadio, uno spazio espositivo, il mercato, una colonia marina per i bambini e una chiesa.

Pescara, la cittadina a sud del fiume, punta così in maniera decisa verso la strada del turismo balneare con quella che è stata definita "la Marcia verso la Pineta". Nel tentativo di creare una nuova stazione, che sappia valorizzare la salubrità dell’aria, il suo mare ma soprattutto la “sacra” pineta, si costruisce il nuovo stabilimento “Asteria”, nome scelto dal vate, in legno su palafitte con una stazione di Omnibus trainati dai cavalli che la collega a Castellammare con due fermate in dotazione. Così la Pineta di Pescara, nei primi decenni del 1900, diviene la spiaggia frequentata dalla borghesia pescarese, mentre le classi meno abbienti , dopo la definitiva bonifica della zona della Palata, prenderanno a frequentare gli arenili del cosiddetto “Marevecchio” tra l’attuale via Pepe ed il fiume Pescara.

Significativa a questo proposito la testimonianza di G. Quieti pubblicata sul volume Era Pescara: “...la Pineta di Pescara non l’ha mai calcolata nessuno, ci andavano i signori al mare col tram o la carrozza tutti con i cappelli larghi. Allora non c’erano case, soltanto gli stabilimenti. Quelli di poco conto, invece, andavano a ‘lu mare vicchie’. Chi andava al mare vecchio riportava quattro canne e dei veli; si costruivano sulla spiaggia delle baracchette per fare ombra, come le capanne degli indiani che si vedevano al cinema. …Si chiamava Marevecchio perché sulla spiaggia l’acqua di mare ristagnava durante la bassa marea e per la gente era un sollievo camminare lì ed evitare la sabbia rovente… .Per il Marevecchio passavano pure le pecore che tornavano dalla Puglia, per rinfrescarsi gli zoccoli e per disinfettarsi nell’acqua dopo la tosatura...

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