Come ricomincia un maestro: Zdenek Zeman e il rischio della libertà

Zanobetti Silverio
20/02/2017
Attualità
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Sono bastati 90 secondi e un incrocio di sguardi per convincere Zdenek Zeman a ripartire da dove aveva finito. Sì, perché la parentesi svizzera, teatro non all’altezza della figura professionale di Zdenek Zeman, è stato un esilio forzato. Prima di accettare Lugano, Zeman rifiuta ogni contatto con quattro squadre che l’avevano contatto perché si fida della stretta di mano e della parola di Sebastiani. La lealtà costa caro: precisamente un anno lontano dalla sua Italia.

In conferenza stampa il presidente del Pescara ha svelato un retroscena interessante. Zeman gli avrebbe subito chiesto: "Ma rimani tu a Pescara, vero? Altrimenti cosa vengo a fare". Cenno di assenso del boemo che conferma che la conversazione è effettivamente avvenuta.

La gestione tecnica è stata in questi anni almeno parzialmente lontana dalle idee zemaniane. Tanti giovani, sì, ma anche tanti giocatori a fine carriera, tante strane scelte che sembravano essere guidate da criteri “altri” rispetto ad un programma tecnico, soprattutto zemaniano.

Sebastiani si è forse reso conto di essersi circondato dalle persone sbagliate? Me lo auguro davvero. Sembra che il rapporto tra Zeman e Sebastiani non si sia ricucito nel veloce pranzo a base di pesce di 2 giorni fa: qualcosa doveva essere successo in precedenza. Il retroscena svelato da Sebastiani ci racconta di come Zeman consideri il presidente del Pescara un punto di riferimento e una base stabile da cui ripartire; un presidente pescarese che lo lascerà lavorare in piena autonomia, in collaborazione con Pino Pavone.

Credo che la reazione sorpresa dei tifosi del Maestro abbia a che fare con i tempi veloci con cui si è concluso l’accordo e con la recente storia del Pescara. L’apprensione che accompagna queste ore è presto spiegata: a quali condizioni Zeman ha accettato questo incarico? Che tipo di lavoro potrà fare Zeman in questi mesi, con una squadra non sua, senza tempo per infondere le proprie idee? Andrà incontro a una serie indegna di pesanti sconfitte?

L’azzardo che il boemo si è preso sia assolutamente apprezzabile. Il rischio che si è preso non è intriso di temerarietà, perché ormai non si tratta più di mettere a repentaglio un futuro ma di saper convivere con ciò che non si ha la possibilità di controllare.

Nell’Apologia di Socrate Platone racconta come Socrate sia accusato di empietà e di corruzione dei giovani e decida di affrontare la sentenza che lo decreterà colpevole. Altrimenti che esempio avrebbe dato: tutta la vita sotto la protezione delle leggi della città, come avrebbe potuto violarle adesso, accettando di fuggire dalla prigione in cui era rinchiuso? Tutti i suoi insegnamenti e tutta la sua vita avrebbero perso valore.

Nello stesso modo in cui Socrate decide di ascoltare la sentenza e non fuggire dopo la condanna, le decisioni di Zdenek Zeman evocano quella perentorietà di chi è stato educato a correre rischi e non la prudenza di chi è stato educato a difendersi dai rischi.

Nella Repubblica Platone si chiede se sia giusto mettere a rischio la vita dei propri figli consentendo loro di assistere a fatti di guerra in modo che siano educati a non “difendersi dai rischi” ma a correre dei rischi perché solo in questo modo si diventa migliori.

Ma tu pensi che occorra soprattutto evitare il pericolo?

Niente affatto!

E non è il caso di rischiare soprattutto quando vincendo si divenga migliori?

È chiaro.

E ti sembra un vantaggio inferiore al rischio mostrare le cose della guerra ai propri figli destinati a diventare guerrieri?

No, dal tuo punto di vista è sicuramente un vantaggio.

Zeman è stato spesso accusato di sbagliare le proprie scelte, anche dai propri tifosi. “Non si doveva andare a Roma, nella tana del leone”; “le minestre riscaldate portano sempre a fallimenti”, “evitare gli ambienti equivoci, come il ruolo preponderante di marketing e tecnico che fino a questo momento svolgevano la Gea e alcuni precisi procuratori”.

Consigli legittimi, ma solo nelle situazioni di rischio possiamo sperimentare il nostro valore e la nostra sapienza. L’eventuale fallimento non è altro che l’occasione per diventare migliori. Solo attraverso prove difficili dal punto di vista emotivo e storico (penso al ritorno quantomeno delicato in una piazza come Pescara), è possibile verificare il proprio temperamento. Solo mettendo a rischio l’amore che Pescara prova per Zeman e sfidando le grida di “traditore!” è possibile fare del rischio la prova della verità e della virtuosità della propria condotta di vita.

Se il maestro Socrate insegna qualcosa nel rapporto con l’allievo è che il suo rapporto seduttivo non sfocia mai in permalosità perché non si concretizza in un amore verso l’allievo. L’amore del maestro è sempre “in prospettiva futura” (innamorato di Pescara, la lascia solo per una sfida più rischiosa e affascinante, cioè Roma); il maestro si allena con l’agathon (nel tentativo di essere migliore di se stesso…), in uno sforzo e tensione che punta alla saggezza in quanto tale più che al legame con l’allievo in sé. Altrimenti la saggezza e l’amore del maestro rischierebbero la morte nella definitiva cristallizzazione di un rifugio sicuro che si trasformerebbe presto in una tomba, a Pescara o altrove: insomma, sarebbe riduttivo limitare il senso del proprio lavoro all’allievo che in un dato momento si è formato, all’opera d’arte geniale che si è riusciti a creare, alla squadra meravigliosa che in un certo campionato si è riusciti a plasmare: sarebbe riduttivo perché gli allievi uccideranno il maestro in quanto destinati anche loro a diventare maestri. Allora l’amore del maestro tende sempre al “prossimo capolavoro” senza fermarsi a rimpiangere un errore, senza voltarsi indietro nella celebrazione mortifera di un successo...che lo condurrebbe mestamente alla condizione di “postumo di se stesso”.

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