Cena ecumenica in tutto il Mondo per l’Accademia Italiana della Cucina

La Delegazione Pescara Aternum celebra la cena ecumenica sulle carni della tradizione regionale

Maria Luisa Abate
17/10/2025
Associazioni
Condividi su:

Ieri, presso il ristorante Lu Piatte calle di Pianella, la Delegazione Pescara Aternum dell’Accademia Italiana della cucina, ha celebrato la cena ecumenica che si svolge nello stesso giorno in Italia e in tulle le delegazioni e legazioni del Mondo. 

“Quest’anno -ha detto il Delegato Dott. Giuseppe di Giovacchino introducendo l’argomento- il tema scelto è stato Lo studio e la ricerca che l’Accademia svolge su tutto ciò che riguarda la Civiltà della Tavola, passano anche attraverso un’intensa attività conviviale, che costituisce occasione d’incontro e di fervido scambio d’idee tra gli Accademici. Le riunioni conviviali culminano, una volta l’anno, nella cena ecumenica, quando, il terzo giovedì di ottobre, alla stessa ora, tutte le Delegazioni e Legazioni del mondo si riuniscono intorno alle mense per valorizzare o riscoprire un prodotto diverso ogni anno.

Questa sera ci ritroviamo a tavola in occasione della nostra annuale Cena Ecumenica, un momento dal forte tenore simbolico, che si tenne per la prima volta nel 2000 in occasione del Giubileo, con lo scopo di riunire idealmente gli Accademici di tutto il mondo a consumare lo stesso giorno la zuppa del pellegrino. Successivamente, questo incontro si è ripetuto ogni anno per degustare tutti insieme, anche se a distanza, un prodotto tipico.

A seguito delle proposte del Centro Studi Franco M arenghi, intitolato allo scomparso Presidente che lo ideò, polo culturale dell’Accademia, da cui muovono le linee guida della sua attività, del quale è stato autorevole Componente il nostro Accademico Leonardo Seghetti, il Consiglio di Presidenza ha scelto per quest’anno quale tema, ricco e stimolante: Gli arrosti, gli umidi, i bolliti nella cucina della tradizione regionale. Un argomento molto vasto, che ben si presta a essere trattato, sia pure con sfumature diverse, in tutte le regioni italiane”.

Protagonisti della Conviviale sono stati Dr. Ugo Ciavattella, medico veterinario, in qualità di Relatore e l’Accademica Dr.ssa Alessandra Di Pietro quale Simposiarca. Ad illustrare il ricco menu la Simposiarca Alessandra Di Pietro che nell’elencare le gustose pietanze preparate dal cuoco Giuseppe Di Tonto con la sua brigata di cucina, ha fatto un excursus storico delle tradizioni abruzzesi dei piatti che utilizzano la carne. Il menu ben predisposto ha esaltato i piatti che nati tradizionalmente nei monti e nelle campagne sono ancora oggi apprezzati e preparati.

Nella tradizione culinaria abruzzese molta influenza ha avuto anche la cucina napoletana che come ha narrato la simposiarca “…ha dimostrato la creatività della nostra cucina cioè della capacità, di far nascere dal nulla anche da quello che potrebbe essere un errore qualcosa di straordinario come sono le nostre scrippelle n’busse…” e ancora il famoso tradizionale dolce che si consumava a fine pasto la pizza doce “… anche questa possiamo dire che la potremmo definire una versione casalinga delle grandi torte del regno di Napoli nella cucina napoletana però è con delle caratteristiche tutte nostre che sono un'estetica più popolare molto allegra più colorata e quindi particolarmente gustosa”.

Dopo la dettagliata elencazione delle pietanze del menu proposto, il dott. Ciavattella, medico veterinario, esperto e cultore dell’argomento, ha parlato dell’uso tradizionale del consumo e della cottura delle carni di animali da reddito: pollame, maiali, ovini e bovini e ha plaudito l’iniziativa dell’Accademia per la promozione della conoscenza della cultura tradizionale abruzzese.

“L'Abruzzo è la regione più montuosa d'Italia insieme alla Valle d'Aosta, ma ha 120 km di costa. Degusteremo specialità di terra, ma altrettante degustazioni si potrebbero fare con prodotti del maree, quindi sono assolutamente e incredibilmente varie le nostre possibilità di scelta. 

Siamo la regione prediletta per questo tipo di allevamento della pecora e del maiale, è un allevamento che utilizza in maniera molto sostenibile il territorio. Sono due specie animali molto frugali che non hanno bisogno di un'agricoltura intensiva per crescere e per produrre le specialità che si gustano. Tra gli arrossi ne ci sono gli immancabili arrosticini.

Si è conclusa da qualche mese la nostra ricerca con lo zooprofilattico di Teramo per appoggiare la richiesta di DOP degli arrosticini e il dipartimento di storia dell'università di Chiedi ha fatto una bellissima pubblicazione dove viene avvalorata l'ipotesi per l'origine nell'area vestina degli arrosticini. Voltigno era la stazione di sosta dei greggi transumanti che venivano dall'Alto Teramano e dall'Aquilano verso la Puglia e lì i macellai locali si recavano per scegliere quelli che erano degli animali che, secondo i pastori, non avrebbero potuto sostenere il viaggio di transumanza e venivano trasformati in arrosticini. Questa è stata un'origine acclarata, quindi Montebello di Bertona, Farindola dalla parte più orientale e poi soprattutto Civitella Casanova che allora comprendeva anche Villa Celiera, Carpineto della Nora erano questi comuni della parte alta dell'area vestina dove hanno avuto origine.

Durante questa ricerca abbiamo ritrovato la prima licenza ancora fotografabile di Emilio Dalò, macellaio di Civitella Casanova, 30 agosto 1926, quasi 100 anni fa. Gli arrosticini ormai sono diventati il simbolo della nostra produzione nel mondo e ci rappresentano moltissimi. Un'altra cosa importante, a parte gli arrossi è la porchetta.

Perché la porchetta? Perché a Campli 1575, documenti storici ufficiali, gli atti comunali del comune di Campli, allora sotto la gestione dei farnese, ci sono le regole per la vendita della porchetta. Questa è la prima notizia, pensate che l'unica porchetta riconosciuta in Italia è la porchetta di Ariccia, ma le notizie storiche, per questa, risalgono al 1950.

Questo perché? Perché, come è narrato nella storia della porchetta di Campli, da Campli i maestri porchettari emigravano verso il Lazio e poi stranamente c'è stata una coincidenza verso Guardiagrele, un comune nell'Alto Chietino, nella zona della Maiella, dove c'è anche lì una radicata tradizione per la porchetta. La porchetta ha questa origine storica, per come viene commercializzata, proprio a Campli. E in tutti i giorni dell'anno e non solo nelle feste, a Campli, nelle macellerie, si trova la porchetta.

Per quanto riguarda gli umidi, la pecora alla callara che è, nelle sue varie versioni, uno spezzatino fatto in umido con erbe selvatiche e carne di pecora. Ingrediente fondamentale, come di tutte le grandi specialità, è il tempo, per assorbire e non disperdere nessuno dei sapori e degli aromi, né della carne né delle erbe che si utilizzano.

Era un piatto tipicamente pastorale. I pastori la facevano in bianco, come in bianco si faceva la amatriciana, la grigia è la vera amatriciana, perché i pastori non avevano la passata di pomodoro. Trasportato nelle osterie di paese, hanno aggiunto il pomodoro ed è un piatto immancabile degli sposalizi dove si fa in casa rigorosamente con il pomodoro, con un sugo molto ristretto.

Ed è anche questa una tipicità francese, questo tipo che poi ne troviamo anche in altre civiltà pastorali, in varie versioni. Ma il coatto di Arsita, la pecora alla callara della zona Aquilana, la pecora alla callara del Teramano, oggi il pescarese, ci rappresentano benissimo per quanto riguarda gli uomini. Poi il cif e ciaf, nome onomatopeico, deriva dal rumore che faceva questo pentolone di rame che bolliva subito dopo aver sacrificato un maiale di casa.

Si faceva con i tagli meno nobili, con le costine, punta di petto, le spuntature delle parti più nobili, soprattutto molto grasse perché allora il grasso serviva moltissimo. Il grasso non fa ingrassare, dicono i grandi nutrizionisti, chiaramente bisogna stare attenti alle quantità, ma è pieno di sapore.

Si può immaginare quale aroma potesse avere una carne di un animale che pascolava insieme alle pecore nelle nostre campagne e nelle nostre montagne. E quindi subito dopo la macellazione, si faceva questo cif e ciaff, che se fatto con la stessa carne il giorno dopo non aveva gli stessi aromi e profumi. Quindi era un piatto che si poteva fare in due versioni nel forno a legna, in bianco, oppure, nella versione più classica, facendo restringere molto il pomodoro, con vari aromi. 

Per quanto riguarda i bolliti si può parlare di tre molto particolari, che ci raccontano la storia della nostra eredità rurale e contadina. Il primo è il brodo di gallina per le puerpere. Quando si andava a trovare la donna partorita nelle campagne nei nostri paesi di montagna, ognuno portava la gallina in dono.

Si attribuiva potere particolare al brodo di gallina pensando che facesse aumentare la produzione di latte. In effetti era un contrasto alla atavica fame e mangiando il brodo di gallina e, soprattutto la carne bollita che residuava, si contrastava la poca produzione di latte. Tutte queste galline, a decine, secondo la larghezza della parentela, le famiglie erano molto larghe prima, venivano tenute poi nelle piccole stalle anche in mezzo ai paesi e durante l’allattazione la puerpera si nutriva, e si racconta che non solo si mangiava bene ma si ingrassava anche.

La variante era il cappone che veniva utilizzato classicamente per la festività di Natale e il capponaggio, cioè la castrazione dei pollastri maschi, veniva fatta dalle donne di campagna, come una sorta di vendetta, erano delle casalinghe che facevano questo trattamento poco gradevole e poi il cappone veniva usato prevalentemente per il famoso brodo con la pizza, con l'uovo, con la stracciatella e con il cardo per la festività natalizia. Ma un'altra chicca tra gli umidi, è il brodo di pecora o il brodo dei carbonai, era un alimento particolarissimo, veniva fatto con parti poco nobili della pecora, quello che veniva lasciato e che richiedeva troppo lavoro per poterlo trasformare in arrosto, quindi, la parte del costato, la parte terminale degli arti veniva tutto bollito con gli aromi che si trovavano in montagna ed era un piatto tipico proprio di montagna. Nella nostra zona veniva chiamata la sponzata ed è un brodo delicatissimo, contrariamente a quello che si può pensare pensando all'aroma forte della pecora, e, soprattutto, la carne viene schiumata pazientemente durante la cottura di 4-6 ore, anche qui il tempo è l'ingrediente fondamentale, la carne rimaneva delicatissima e magra. Era un piatto pregiato e i carbonai, che dimoravano in montagna 3-4 mesi nelle nostre zone boschive, e che si nutrivano con questo pietanza.

Un'altra tradizione soprattutto dell'area vestina è quella del brodo di maiale, che veniva consumato nel giorno in cui si facevano gli insaccati, quindi quando si spezzava il maiale. Quando si lavorava la carne di maiale, uno o due giorni dopo la macellazione, si usava fare il brodo con ossa e carne che venivano messe da parte durante la produzione delle salsicce, dei salami e dei prosciutto, ed era un brodo delicatissimo, veniva assolutamente sgrassato in superficie e poi si facevano i quadretti, la pasta all'uovo, le fettuccine tagliate a quadretti in brodo. Questi erano i piatti che oggi non troviamo più nemmeno nei ristoranti.

La grande biodiversità, la grande ricchezza della nostra tradizione abruzzese, che si trova anche in queste categorie alimentari, ci fa aumentare l’entusiasmo per continuare quest'opera di valorizzazione e diffusione delle nostre peculiarità gastronomiche, è anche un vanto per l’Accademia Italiana della Cucina che in questo modo persegue i propri principi”. I vini che hanno accompagnato le pietanze erano della cantina Lampato d Pianella e direttore di sala è stato il sig. Piero D’angelo.

Leggi altre notizie su Pescara News
Condividi su: