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Mostra del pittore Carmine Galiè in viale Nettuno a Francavilla al Mare

Tra sogno e reltà

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Si è inaugurata domenica 9 agosto alle ore 19 presso la sede dell’ASCOM Abruzzo Cultura in viale Nettuno a Francavilla al Mare la mostra personale di pittura di Carmine Galiè, artista che vive e opera a Giulianova.

La serata inaugurale è stata patrocinata dall’associazione Alento, che ha messo a disposizione la logistica per l’evento.

Tra i relatori intervenuti Roberto Di Giampaolo, presidente dell’associazione degli artisti abruzzesi “Lejo” (di cui Carmine Galiè è socio), il dott. Valerio Baldassarre, che ha tenuto una relazione critica della mostra, il prof. Massimo Pasqualone, moderatore e critico dell’evento, la presidentessa dell’associazione Alento la maestra Ernesta Bellafante.

Il dott. Baldassarre, innanzitutto, ha lodato questa serie di iniziative culturali, in cui si parla di arte “en plain air” di fronte ad un quadro dell’artista invitato. Nello specifico egli ha messo in evidenza l’assonanza, che secondo lui si evince, tra l’arte di Carmine Galiè con quella di Francis Bacon, “artista delle deformità”, di origine irlandese, anche se di padre inglese. Il dott. Baldassarre, nel suo breve excursus sull’artista, ha ricordato come questi venne cacciato di casa per la sua omosessualità scoperta dal padre, militare di carriera. Sofferente di asma, quindi malaticcio, all’età di diciassette anni si rifugiò a Londra e poi fu ospite dello zio prima a Berlino poi a Parigi, dove entrò in contatto con i quadri di Picasso. Da qui decise di fare il pittore. Iniziò una scuola di pittura, ma con incostanza. Cominciò a reinterpretare i corpi prendendo spunto dai pittori del passato, come nel ritratto di Innocenzo X, che in realtà era tratto da un quadro di Velasquez, rifatto, trasformato deformato. Di sicuro – dice Valerio Baldassarre – c’è stata una influenza subliminare di Francis Bacon sull’arte di Carmine Galiè, anche solo inconscia. Così come si può parlare di una influenza sull’autore dell’arte informale, che andava molto di moda negli anni della contestazione giovanile, dell’arte di Jackson Pollock e delle sue performances artistiche, della painting art, in pieno periodo degli Anni Sessanta, dei “figli dei fiori”, della rivoluzione culturale e sessuale del ’68. Galiè, giovane, ha vissuto quegli anni cruciali, di contestazione, che hanno di sicuro influenzato il suo percorso e la sua ricerca artistica.

Galiè propone alcuni suoi quadri degli anni Novanta, di per sé non innovativi, ma originali quanto alla tecnica materica usata e alla corposità dei colori, legate anche alla pratica della scultura dell’autore. Il risultato dei suoi lavori fa sempre e comunque pensare a qualche forma antropomorfa o ad una manifestazione naturalistica (un’onda, una conchiglia). Originalità che in futuro gli potrà permettere di essere riconosciuto tra tanti pittori.

Pasqualone parla di una poetica e di una dialettica dell’autore “Tra sogno e realtà”. Una biografia esistenziale e artistica che si intersecano sempre tra di loro e sempre in continuo contatto con il dolore umano, data anche la sua professione medica, Un artista che predilige la dimensione onirica a quella virtuale, con la capacità che solo il sogno ha di dire veramente quello che il giorno nasconde. E allora l’opera d’arte si fa investigazione, ricerca, abbraccio, ma anche vortice, onda, che rimandano ai corsi e ricorsi storici, alla ciclicità della vita e dell’esistenza. Ma di una circolarità “dinamica” visto che – scrive Pasqualone citando Mark Twain – “tra venti anni non sarete delusi delle cose che avete fatto… ma di quelle che non avete fatto. Levate dunque l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite”.

Ḕ così che Galiè si spinge oltre la bidimensionalità della tela e della pittura, abbracciando anche la tridimensione della scultura, nella consapevolezza però che il colore non inganna mai. Il suo campo d’indagine si sposta anche a lavori calcografici, soprattutto acqueforti. Nel 1998 inizia la sua collaborazione con Sandro Ettorre, che culmina in una serie di opere raggruppate sotto il titolo “Collaborazioni ‘98”. Un’insofferenza artistica che approda ad una “mistica della sofferenza”, perché in fondo l’autore cerca un senso al mistero della vita, della solitudine, della sofferenza.

Leonardo Paglialonga

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