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Premio Borsellino al De Cecco, seconda giornata con l'imprenditore Luigi Leonardi

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“L’aver scelto di non sottostare alle vessazioni della camorra e di denunciare mi ha tolto tanto: la famiglia, il lavoro, un patrimonio di 10milioni di euro, mi obbliga a ‘sopravvivere’ sotto scorta. Eppure rifarei tutto, la ribellione a un sistema malato, le denunce, il maxi-processo nell’aula bunker di Poggio Reale, rimanendo nella mia terra perché se ne devono andare i camorristi, non io. Sono ottimista, vivo il mio futuro e ho il pallino di tornare a fare l’imprenditore dal punto in cui la camorra ha interrotto il mio lavoro. Ai ragazzi dico di non farsi affibbiare delle etichette: se avete un sogno non perdete un solo giorno prima di rincorrerlo perché nella vita contano i fatti non il cambiare l’immagine di copertina su Instagram”.

Sono le parole dell’imprenditore Luigi Leonardi, Testimone di Giustizia, protagonista della seconda giornata del Premio ‘Borsellino’ svoltasi nell’Aula Magna dell’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara.

Presenti, oltre alla Dirigente Alessandra Di Pietro, anche Francesca Martinelli dell’Associazione ‘Società Civile’, Gabriella Sperandio e Leo Nodari del ‘Premio Borsellino’ e dell’Associazione ‘Società Civile’, la docente Rosa De Fabritiis referente per il Premio Borsellino, e tanti ospiti istituzionali in platea, tra cui il vicepresidente del Consiglio regionale Domenico Pettinari, il Prefetto Emerito Vincenzo D’Antuono, il Capitano della Guardia Di Finanza Fabio Innamorati, Daniela Puglisi dell’Ufficio Scolastico provinciale, Francesco Longobardi referente dell’Associazione Mede@ contro la violenza sulle donne, Mariusz Szymanski, Presidente del Lions Club, Anna Maria Di Rita Presidente dell’Associazione Nazionale Cavalieri della Repubblica Italiana – Pescara, e gli studenti dell’Istituto Comprensivo Pescara 1 con i propri studenti.

Ad aprire la giornata il docente e regista Edoardo Oliva che ha letto un brano del discorso del giudice Borsellino dopo la morte del collega e amico Falcone. “Vengo dal mondo della lotta al racket – ha detto il vicepresidente Pettinari – quindi nelle persone come l’imprenditore Leonardi vedo i nostri eroi in prima linea: credo che tutte le Istituzioni debbano inchinarsi dinanzi a tali personaggi”.

“La storia di Leonardi è drammatica – ha detto la dirigente Di Pietro introducendo l’evento -: Leonardi è un imprenditore partito con un patrimonio di 10milioni di euro, 2 fabbriche e 5 negozi sparsi nel napoletano, che ha subito vessazioni, ricatti, estorsioni da 5 clan camorristici, vittima di un sequestro di persona e di ogni genere di intimidazione, ma ha denunciato. Leonardi è un testimone di giustizia, è un imprenditore-guerriero. Il messaggio che viene dalla sua vicenda è innanzitutto che la legalità non è solo una parola, ma è fatta di azioni concrete, richiede coraggio, significa assumersi delle responsabilità, non essere indifferenti, significa scegliere di stare sempre dalla parte giusta e rispettare gli altri, legalità è libertà, essere persone libere perché possiamo sempre scandalizzarci quando vediamo ciò che non funziona”. Quindi la parola a Luigi Leonardi: “La mia vita ha conosciuto la violenza sotto tante forme: ho avuto la sfortuna di avere un padre violento che picchiava mia madre. Ho avuto problemi di bulimia e per questo sono stato bullizzato. Quando sono cresciuto ho deciso di fare l’imprenditore, alla quarta generazione, che nella mia terra significa tener conto che c’è sempre un clan di appartenenza della zona in cui lavori. Mio nonno pagava il pizzo ai Casalesi, mio padre ai Di Lauro. Io ho coltivato il sogno di non pagare nessuno e ho scelto di tenere un basso profilo: tra il ’97 e il 2002 fatturavo 2milioni 700mila euro l’anno con 5 negozi e 2 aziende che producevano luci Led in 5 province del napoletano. Purtroppo l’apertura di un nuovo negozio a Nola ha suscitato l’interesse del Clan Lorusso che una sera è piombato nel negozio con 3 camorristi. Mi hanno chiesto di pagare, 500 euro al mese per ogni vetrina, ho rifiutato, quella sera stessa mi hanno seguito per 23 chilometri tagliandomi la strada con l’auto: sono uscito dal tetto della mia smart con un taglio di 22 centimetri alla tempia e 100 punti, e i camorristi sono venuti persino in ospedale a minacciare mia madre di uccidere i miei fratelli se li avessi denunciati. Ho deciso di chiudere il negozio di Nola e hanno preteso 2mila euro per ‘il disturbo di aver aperto un’attività senza averli pagati’. Pensavo fosse finita – ha proseguito Leonardi -, e invece è stato l’inizio dell’incubo perché subito si sono presentati nel negozio di Scampia i boss di tutti gli altri clan, i Lorusso, i Mallardo, i Di Lauro, gli scissionisti. Da quel momento ogni sabato sborsavo 6mila euro a settimana, ero diventato il bancomat della criminalità organizzata, ho dovuto vendere tutto, auto, rolex, quadri, ho chiuso 3 negozi su 5, ho dovuto licenziare 20 dipendenti su 36. Finchè nel 2008 sono stato prelevato da Peppe De Gennaro, braccio destro di Cesare Pagano, l’ideatore degli scissionisti, e dentro uno sgabuzzino hanno tentato di costringermi a pagare 30mila euro in false cambiali. A quel punto ho deciso di denunciarli tutti, perdendo mia mamma e i miei fratelli che non vedo da 11 anni. Ma ho denunciato, 28 denunce, da cui è partito un maxi-processo storico con 174 arresti e condanne in via definitiva per 820 anni a 81 persone. E ricordo che alla lettura delle condanne, i boss nelle gabbie piangevano, addirittura mi hanno mandato a casa le mogli per trattare, e pure loro sono state denunciate e condannate. Ora però – ha continuato Leonardi – il mio nemico è paradossalmente lo Stato: nel 2015, essendo partito il secondo grado del secondo processo con 10 delinquenti indagati a piede libero, il magistrato De Falco ha chiesto che io fossi messo sotto scorta ritenendomi in imminente pericolo di vita. Silenzio per 5 mesi, sino a quando la scorta mi è stata data il 2 febbraio del 2016, 4 ore dopo la messa in onda della puntata delle Iene sulla mia storia, una scorta di quarto livello, che significa nessuna protezione di notte, mentre Roberto Saviano gode di una scorta di secondo livello. Senonchè, dopo che il primo grado del secondo processo si è concluso con la condanna di soli 3 imputati su dieci, un giudice ha deciso che io, dopotutto, non fossi così attendibile e ha trasformato la mia condizione da Testimone di Giustizia a Collaboratore di Giustizia, ovvero a quella di un pentito. E allora io ho rinunciato al Programma di Protezione, io sono un imprenditore che ha denunciato e la mia dignità non la faccio sporcare. Lo Stato ha riconfermato la scorta, ma intanto ho dovuto fare ricorso al Tar, al Consiglio di Stato e aspetto e sopravvivo, continuando ad avere fiducia nella giustizia e a considerarmi un uomo libero”. La giornata si è chiusa con l’intervista di alcuni studenti a Leonardi.

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