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Spazio a pedoni e ciclisti, se ne avanza!

Le città come un grande parcheggio per automobili, in prima e seconda fila

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Via Conte di Ruvo. Ho avuto davanti a me, e per tutta la via, una mamma in bici con un bambino sul seggiolino di dietro e l'ho vista ondeggiare e zigzagare per l'intero tratto tra una macchina parcheggiata in seconda fila e l'altra che arrivava sulla sinistra sulla corsia riservata del bus, e in più qualche sportello che si apriva.
Alla fine non ce l'ha fatta ed è scesa, proseguendo a piedi. Troppo pericoloso.
Ma il resto della scena aggiunge altri elementi di sconforto: nonostante la delimitazione della corsia, tante le macchine impunemente parcheggiate in seconda fila, costringendo le altre a sorpassarle sulla corsia riservata dell'autobus e alle bici.

Tutti conducenti abbastanza distratti che prendono la segnaletica stradale per graffiti e la sicurezza delle utenze deboli per un insopportabile fastidio.
E nessuno che dice niente, perché poi la necessità di quella sosta potrebbe tornare utile e quindi meglio assecondare.
Ma questa condizione di pericolo per chi si sposta in bici, con bambino o senza, accomuna gli utenti delle due ruote su tante altre strade della città: Via N. Fabrizi, Via Venezia, C.so V. Emanuele,  Via Italica, e  in tutte le altre dove il senso di "libertà" interpretativa della segnaletica e degli spazi può essere facilmente espresso dagli automobilisti, specie se la strada larga e gli scarsi controlli lo consentono.

Ma forse c'è una ragione di fondo che sta dietro queste situazioni, che viene poco percepita ma che pervade il concetto di mobilità nella sua accezione comune.
Per come sono organizzate le città, e la relativa logica dei trasporti, usare l'automobile è la prima opzione possibile: è l'opzione di "default", come si direbbe in informatica. E così di "default" dovrebbe essere tutto il resto collegato al suo uso: strade, soste e parcheggi, e lo sviluppo dell'urbanistica  nel suo complesso. Ma quando sono in tanti, troppi, a scegliere quella opzione, ecco che gli spazi si riducono e allora se ne cercano altri, magari sui marciapiedi, nelle seconde file, nelle piazze, nelle campagne.

E' su questo piano che, a mi avviso, va aperta una riflessione generale, perché per le città sarebbe da tempo ora di pensare ad una mobilità nuova, che abbia come "default" l'intermodalità, la condivisione dei mezzi (tema della prossima Settimana europea della mobilità sostenibile di metà settembre) e soprattutto un diverso modo di concepire l'ambiente urbano con relativi spazi e funzioni, città non più assoggettate alle esigenze dell'auto ma a quelle delle cittadine e dei cittadini che la abitano, che la vivono.
La seconda fila abusiva esprime la schiavitù di cui siamo da tempo un po' tutti preda senza essercene mai accorti. Perché nelle pubblicità delle automobili queste vengono raffigurate sempre in ambienti straordinari, deserti, montagne, pianure sconfinate, e mai nel loro ambiente spesso naturale, la città, il traffico, l'ingorgo? Non si venderebbe niente, ovvio.
In seconda fila ci sono le automobili, non le persone. Cambiare paradigma di approccio alla organizzazione della mobilità urbana ci aiuterebbe a liberarci da una morsa che ha fatto delle nostre città un enorme parcheggio in cui il nostro spazio, quando siamo utenti deboli, è solo quello che avanza.
Se avanza!

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