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L' Aquila della nostra giovinezza

Primo appuntamento dell'anno con Tutte le Storie della Storia d'Abruzzo di Camillo Chiarieri

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Il primo degli incontri del nuovo anno con Tutte le Storie della Storia d’Abruzzo di Camillo Chiarieri, come abitudine presso la Sala Flaiano dell’Aurum a Pescara, è stato dedicato al nostro capoluogo di regione, L’Aquila.

Pur non essendo possibile evitare di iniziare dal ricordo delle ore 3:32 di quel triste 6 aprile 2009, per lo incipit di questo racconto, il nostro narratore ha da subito chiarito che la retorica sarebbe stata messa da parte quasi completamente. Non è stato, infatti, un ricordo meramente polemico, anche se, L’Aquila della nostra giovinezza, deve necessariamente transitare per Piazza Duomo, il mercato e il fascino degli antichi edifici, molti dei quali oggi ridotti a rovine. Quest’ultimo terremoto non è stato certo il più devastante della storia aquilana, ma è giunto dopo un’importante crisi economica già in atto e questo ne sta condizionando in negativo l’ennesima ricostruzione.

Le sue origini antiche furono sabine e vestine. Dopo la caduta dell’impero romano, intorno alla sua “conca” si formarono dei piccoli centri urbani, i castella, in altre parole i castelli, dei villaggi fortificati che in seguito furono abbandonati e i cui abitanti si trasferirono in massa nella nascente città, ufficialmente fondata nel 1254, anche se già quattro anni prima Federico II di Svevia ne aveva patrocinati i natali. Forse il più celebre di questi castelli era Ocre, un vero e proprio monumento storico a cielo aperto, oggi ridotto a un cumulo di macerie e destinato quasi certamente all’abbandono, vero e proprio simbolo di questo drammatico evento tellurico. Così come le fontane, le piazze e le chiese, anche i castelli erano 99, numero simbolo dell’Aquila? In realtà, molto meno prosaicamente, si può affermare che il loro numero variasse da un minimo di 63 a un massimo di 67, ma in fondo non è poi così importante.

Fra i tanti episodi rilevanti della grandezza di questa città, durante il suo periodo d’oro dal punto di vista economico e politico, ne è stato ricordato uno davvero particolare: nel 1354 fu posto in cima alla Torre civica un orologio, ebbene fu la terza città italiana a possedere questo privilegio, dopo Firenze e Ferrara e prima di altre ben più celebri. Fra gli altri simboli conosciuti, oltre alla Fontana luminosa, restaurata e rimessa in funzione proprio pochi giorni prima dello scorso Natale, certamente il più importante e celebrato è la Basilica di Santa Maria di Collemaggio, fortemente voluta da Pietro da Morrone, futuro Celestino V, che lì fu incoronato Papa. Fu proprio lui, in questo luogo mistico, che propose al mondo cristiano, per la prima volta, la possibilità di ottenere una redenzione plenaria: nacque così la Perdonanza Celestiniana.

Nel periodo favoloso iniziato nel Quattrocento, era seconda per importanza alla sola Napoli, capitale del regno omonimo. Lana, zafferano, lavorazione del pellame, seta, oltre alla fondazione dell’università e di una zecca; fondamentale nodo viario, che attirò personalità di ogni genere, soprattutto del fervente mondo religioso. Fra tutti bisogna ricordare San Bernardino da Siena, che scelse di trascorrervi gli ultimi anni della sua esistenza terrena, così da divenire, successivamente, il patrono della città. Le sue spoglie sono conservate all’interno dell’omonima Basilica, in un mausoleo a lui dedicato.

Come non ricordare, infine, il celebre scheletro di un elefante (e non di un mammuth come erroneamente tramandato) preistorico, presso il Museo Nazionale, ex Forte spagnolo (più noto come Castello cinquecentesco)?

Dei tanti terremoti che l’hanno flagellata nel corso dei secoli, di sicuro il più terrificante fu quello del 1703, 6,7° della scala Richter, con migliaia di vittime e devastazioni di ogni genere. In quell’occasione, per segno di lutto, i suoi sgargianti colori che la rappresentavano, bianco e rosso, furono modificati negli attuali neri e verdi. Eppure anche in quell’occasione ebbe la forza di rialzarsi e rinascere a nuova vita. Questo il preludio alla mesta chiusura di conferenza da parte di un adirato Camillo Chiarieri, nel citare le telefonate d’imprenditori senza scrupoli, durante le ore successive al terremoto, che già pregustavano i soldi per la ricostruzione. Il suo pensiero è andato al ricordo delle tante passeggiate fra le bancarelle del mercato di Piazza Duomo, nella nostra giovinezza allegre e spensierate, oggi più spente e meno rumorose, sperando “ … in una rinascita che tutti noi sogniamo essere non soltanto materiale …”.

Arrivederci al prossimo mese di febbraio, per la precisione sabato 25, con La grande avventura di Pietro del Morrone.

 

Foto I. Barigelletti

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