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La grande avventura di Pietro del Morrone

Penultimo appuntamento con Tutte le Storie della Storia d'Abruzzo di Camillo Chiarieri

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Penultimo incontro di questa stagione con Tutte le Storie della Storia d’Abruzzo di Camillo Chiarieri, presso la Sala Flaiano dell’Aurum a Pescara. Protagonista assoluta di quest’ultimo sabato di febbraio, la grande avventura di Pietro del Morrone, meglio conosciuto come Celestino V, il Papa del grande rifiuto.

Prima che avesse inizio la conferenza, lo stesso Chiarieri e l’organizzatrice di eventi Luisa De Fabritiis, hanno illustrato ai presenti le consuete attività escursionistiche estive dei cosiddetti compagni d’avventura, il cui programma è stato quest’anno ampliato anche fuori regione.

Il monaco cistercense Gioacchino da Fiore, vissuto nel XII secolo, durante la sua esistenza riscrisse la storia del mondo, dividendola in tre grandi epoche, la terza delle quali avrebbe dovuto iniziare nel 1260 d.c., la cosiddetta Età dello Spirito, un periodo di grandi attese che sarebbe culminato con la fine del mondo. Proprio quegli anni del XIII secolo, videro l’epopea di un uomo che con il suo pensiero e il suo stile di vita, modificò profondamente il cristianesimo e non solo, Pietro Angelerio, undicesimo di dodici figli, nato a Isernia o, forse a Sant’Angelo Limosano, fra il 1209 e il 1215. Già all’età di quindici anni, soggiornando presso il monastero benedettino di Santa Maria in Faifoli, fu notato per le sue spiccate doti intellettive, così che si decise di farlo studiare a Roma. Era il 1235 e, nel corso del viaggio che lo avrebbe dovuto condurre nella città eterna, transitò nei pressi di Palena, dove ebbe l’ispirazione di fermarsi, ammaliato da quelle bellezze naturali, incastonate fra la Maiella e il Morrone, iniziando così il suo percorso eremitico che lo avrebbe accompagnato in pratica per tutta la sua esistenza.

E’ necessario ricordare come l’avvento del Cristianesimo, che dopo secoli di sopraffazioni ricevette il riconoscimento di piena libertà di culto, grazie all’editto di Costantino del 313 d.c., avesse completamente stravolto l’idea fino allora prevalente, che guardava alla Natura, alla Grande Madre Terra, come al centro del pensiero. La nascente Chiesa pose, al contrario, l’uomo in posizione dominante. Una visione distorta che è stata la causa primaria di ogni sorta di violenza perpetrata nei confronti del pianeta che ci ospita, giustificando implicitamente l’inquinamento che oggi avvelena il nostro habitat. Pietro aveva intuito che la spiritualità divina si poteva respirare meglio fra quelle montagne incontaminate, piuttosto che nelle polverose biblioteche dei monasteri, dove al massimo si sarebbe potuto disquisire d’inutili questioni teologiche. Passò la sua vita errando fra quelle montagne che ancora oggi possiamo ammirare per la loro imponente bellezza, trovando rifugio in quegli eremi che la sua presenza ha reso celebri: da quello di Sant’Onofrio, il suo preferito, a quello di San Bartolomeo in Legio di Roccamorice, della Madonna dell’Altare a Palena, fino a quello di San Giovanni all’Orfento nei pressi di Caramanico Terme.

La sua scelta di vita ascetica lo rese da subito famoso, in tanti iniziarono a seguirlo, così che in breve si ritrovò a capo di una congregazione di monaci, i Fratelli dello Spirito Santo, che ebbero pieno riconoscimento, nel 1263, grazie all’intercessione di Papa Urbano IV. In seguito, precisamente nell’anno 1274, Gregorio X indisse il Concilio di Lione, con l’obiettivo primario di riordinare i numerosissimi Ordini religiosi che erano nati in quegli anni, alcuni reputati eretici. Indubbiamente quello di Pietro era potenzialmente a rischio di cancellazione, alla luce della sua visione così diversa dai vecchi principi del Cristianesimo originario, così che egli, già sessantenne, decise di mettersi personalmente in viaggio verso la città francese per perorare la causa della congregazione al Pontefice, suo vecchio amico. Il solo cammino d’andata, a piedi, durò ben quattro mesi, ma l’incontro ebbe il successo auspicato, così che Gregorio, oltre che a dare pieno riconoscimento alla congregazione definendone lo stemma, la prese anche sotto la sua protezione. Scampato il pericolo dello scioglimento, nel viaggio di ritorno decise di fermarsi all’Aquila, dove, secondo tradizione, gli apparve la Madonna, che gli fece presente di aver interceduto lei stessa a favore del suo Ordine, chiedendogli, come ringraziamento, di edificare proprio in quella città, una grande chiesa in suo onore. Fu così che, per volere di Pietro, iniziarono i lavori che avrebbero portato all’edificazione di Santa Maria di Collemaggio.

L’evento destinato a cambiare per sempre il destino di Pietro fu la morte, avvenuta il 4 aprile 1292, di Papa Niccolò IV. Il conclave che avrebbe dovuto proclamare il nuovo pontefice, presieduto dai soli dodici cardinali all’epoca esistenti (sei romani, quattro italiani e due francesi), non riusciva nel suo intento, a causa di contrapposizioni e rivalità insanabili fra le potenti famiglie di porporati. Ci vollero ben ventisette mesi e l’intercessione interessata di Carlo II d’Angiò, il quale, incurante della sua menomazione fisica che lo faceva zoppicare, raggiunse Pietro presso il suo eremo per convincerlo a scrivere una missiva di sdegno, diretta ai cardinali, nel frattempo rimasti in undici per la morte di uno dei due francesi. La “missione” sortì l’effetto sperato, ma dal conclave emerse proprio il nome dell’eremita, considerato, vista la sua già veneranda età, un pontefice di transizione, in attesa di trovare gli accordi per un Papa che potesse mettere tutti d’accordo. Era il 5 luglio del 1294, ma si dovette attendere il 29 agosto per l’incoronazione, visto lo scetticismo del prescelto, che alla fine si convinse, ma pretese che la cerimonia si sarebbe dovuta svolgere nella “sua” Collemaggio. Partecipò una folla immensa, per l’epoca, di circa duecentomila persone, fra fedeli e personalità, tra le quali si sarebbe potuto riconoscere anche Dante Alighieri.

Il nome scelto, come sappiamo, fu quello di Celestino V, probabilmente perché Celestino IV era stato Papa per soli diciassette giorni e Pietro volle dare il segnale di aver compreso il perché fosse stato scelto. Quello che avvenne in seguito ha fatto, a suo modo, la storia della Chiesa, conducendo Pietro, mai del tutto convinto e ormai non più nel pieno delle sue facoltà psicofisiche, alla celebre abdicazione del 13 dicembre, fatto mai accaduto prima e che solo ai giorni nostri, con le dimissioni di Benedetto XVI, ha avuto un seguito. Nel corso di quei pochi mesi, non poche furono le iniziative di cui si rese protagonista. La maggior parte delle quali, per la verità, poco edificanti, frutto di errori causati da ingenuità e scarsa propensione al ruolo affidatogli. Vale la pena ricordare, in ogni caso, la celebre Perdonanza, da egli istituita lo stesso giorno dell’insediamento, al termine della cerimonia, ancora oggi magnificamente celebrata e ricordata.

Pietro del Morrone finì i suoi giorni il 19 maggio del 1296, all’interno della cella presso la Rocca di Fiumone, dove il suo successore, Bonifacio VIII, fu costretto a tenerlo rinchiuso per evitare che, lasciato libero, potesse creare nuovi problemi a una Chiesa già abbastanza martoriata a causa dei tanti avvenimenti poco edificanti che si erano succeduti in quegli ultimi anni.

Tanto si è detto e, probabilmente, ancora molto sarà scritto sulla vicenda terrena di Celestino V. E’ stato scomodato anche l’esoterismo, a causa del mistero di un foro presente sul suo cranio, che fu praticato dopo la sua morte. Per meglio comprendere e approfondire le tante vicende che l’hanno reso protagonista assoluto dei suoi tempi e ancora lo è ai giorni nostri, vale senz’altro la pena di consultare l’ultimo libro pubblicato proprio da Camillo Chiarieri, Storie della Storia d’Abruzzo, per l’appunto, che dedica un intero capitolo al Papa del grande rifiuto.

Il prossimo appuntamento, l’ultimo di questa stagione, sarà dedicato alla Transumanza, fra due settimane, sabato 11 marzo, sempre presso l’Aurum.

 

 

Foto I. Barigelletti

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