Nemmeno lo spirito del Vate è riuscito a trasformare positivamente il trend negativo del Delfino. Il 154° anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio, che proprio ieri ricorreva, non è stato degnamente festeggiato all’Adriatico, dove anche l’Udinese, senza nemmeno troppi sforzi, ha fatto bottino pieno. Fa bene Zeman a rammaricarsi: poiché nessuna delle squadre impantanate in fondo alla classifica riesce a fare punti, sarebbe bastato davvero poco, quest’anno, per salvarsi. Purtroppo il Delfino, in modo ancor più manifesto rispetto alle derelitte consorelle, appalesa evidenti limiti tecnici e atletici che l’hanno ormai da qualche tempo emarginata al ruolo di sparring partner del campionato di serie A. Se nessuno avrebbe mai immaginato che al suo esordio il boemo fosse capace di imporsi con un sonante 5 -0, è altrettanto vero che pochissimi sarebbero riusciti a ipotizzare le tre (per ora …) nette sconfitte nelle successive sfide. Ne deduciamo ormai senza dubbio alcuno, che non fu tanto il Pescara a stravincere quell’incontro, quanto piuttosto i giocatori genoani a inscenare un misero teatrino allo scopo di far esonerare il loro (ormai ex) tecnico Ivan Jurić. Che il calcio, come in fondo quasi tutti gli sport giocati a livello agonistico, non fosse quell’argomento “pulito” che personaggi del calibro di Jules Rimet o del barone Pierre de Coubertin, all’inizio del secolo scorso auspicavano, ce ne eravamo accorti già da un bel po’ di tempo, ma evidentemente l’umano bisogno primordiale di primeggiare a tutti i costi, troppo spesso ci rende sognatori, ciechi e sordi di fronte alla più banale e semplice realtà, costellata d’inciuci e imbrogli di vario genere, con l’unico scopo di far guadagnare facile denaro a tanti faccendieri senza scrupoli.
Potendo avere contezza di ogni singola malefatta, perpetrata dagli addetti ai lavori, allo scopo di manovrare uomini e risultati, molto probabilmente la Storia del Calcio, come la conosciamo, andrebbe totalmente riscritta. Poiché in questi editoriali ci occupiamo quasi esclusivamente del Pescara e di tutto ciò che gravita intorno alla società biancazzurra, per rendere l’idea di quanto sopra affermato, proviamo a fare un salto nel passato, precisamente fino al 1984. Quell’anno l’allora presidente Vincenzo Marinelli e i suoi soci, decisero di affidare l’incarico di allenatore a un giovane promettente, con idee rivoluzionarie, mutuate dal famoso calcio totale olandese del decennio precedente, Enrico Catuzzi. Il modulo, cosiddetto a “zona”, si rivelò spettacolare, ma non produttivo in termini di risultati, nell’arco di due stagioni di Serie B, culminate addirittura con un’inopinata retrocessione, che segnarono in maniera negativa la carriera del tecnico parmigiano. Conosciamo fin troppo bene ciò che accadde in seguito, con la retrocessione a tavolino del Palermo, il ripescaggio del Delfino e l’incredibile cavalcata vincente dell’anno successivo, grazie a Giovanni Galeone, il quale, intelligentemente, avendo a disposizione una Rosa composta per lo più dalle riserve della precedente stagione, con l’aggiunta di qualche giovane di belle speranze, decise di far giocare la squadra con l’unico modulo che conosceva, quello appunto di Catuzzi. Solo in seguito si scoprì il vero motivo di quella metamorfosi apparentemente inspiegabile, che per alcune stagioni fece sognare il popolo biancazzurro: nel corso di quelle due “strane” stagioni, le gare, troppo spesso, furono decise dai manovratori del calcio-scommesse. A Pescara, in maniera specifica proprio il portiere titolare, Maurizio Rossi, fu scoperto e condannato, come uno dei tanti protagonisti di quel nerissimo periodo. In sostanza, le sfortune di un allenatore, o le fortune di un altro, erano condizionate da fatti che con il calcio giocato non avevano nulla da spartire.
L’impossibilità di commentare il presente, del tutto inutile o quasi ormai, ci ha spinto per una volta a ricordare i fatti di un passato quasi remoto, calcisticamente parlando. Il mondo del pallone sta sprofondando in un abisso di cui non sembra scorgersi il fondo, se è vero che i vertici nazionali continuano a fare finta di non vedere che il campionato italiano, un tempo invidiato e acclamato in tutto il pianeta, non possiede più un briciolo di quella vecchia attrazione. Stadi per lo più semi deserti, con la maggior parte delle partite disputate senza obiettivi di classifica, figuracce continue a livello europeo, una Nazionale non più in grado di rivaleggiare per la vittoria nelle maggiori competizioni, il mercato e le valutazioni dei singoli atleti sono ormai gli unici argomenti di discussione, quasi che il calcio giocato sia ridotto a un misero orpello di quest’universo sportivo.
Mentre la Pescara calcistica è già proiettata, in fondo da parecchie settimane, alla prossima stagione, che si auspica foriera di successi Made in Zemanlandia, il presidente Daniele Sebastiani e il suo socio rivale, Danilo Iannascoli, si sfidano a suon di bugie (a detta loro) per la conquista del trono societario. Con quale spirito, ci chiediamo, la tifoseria potrebbe gioire delle future ipotizzabili vittorie, conscia del fatto che a un’eventuale promozione, molto probabilmente farebbe seguito un ennesimo penoso calvario? Lasciamo al lettore la facoltà di rispondere al triste quesito, il che ci ricorda una meravigliosa citazione di Vittorio Foa: “Le sole risposte utili sono quelle che propongono nuove domande”.