Prosegue l’andamento altalenante del Delfino, in fondo coerente con il contesto di un campionato mai così in equilibrio come quest’anno. Dopo nove giornate, tra la prima in classifica e la penultima ci sono appena sei punti di scarto. Come dire che, in teoria, nell’arco di tre o quattro gare, le posizioni potrebbero completamente ribaltarsi. Per un Pescara ancora in fase di “costruzione”, dove, a detta degli stessi giocatori, i dettami zemaniani non ancora sono stati assimilati, questa situazione si rappresenta molto vantaggiosa, in prospettiva. Se, e quando, finalmente la squadra potrà esprimersi come il suo tecnico predica, sarà un po’ come ripartire da zero, con tutte le possibili avversarie per la lotta alla promozione, a “tiro di schioppo”.
Mentre Vincenzo Fiorillo si è riconquistato il posto da titolare fra i pali, suffragato da una prova determinata e sicura in quel di Parma, possiamo certamente affermare che la difesa non può assolutamente fare a meno di due fra Coda, Palazzi e Bovo. Sulle fasce Zampano sembra, lentamente, riprendere a essere incisivo come all’inizio dello scorso anno. Mazzotta appare rigenerato dalla cura boema e appare solo un lontano parente di quello che era sistematicamente fischiato ai tempi di Massimo Oddo, anche quando la squadra vinceva … inoltre in panchina troviamo pur sempre un Balzano che scalpita e un Crescenzi sempre pronto, quindi i ruoli sono, per ora coperti.
Il centrocampo è il reparto che mostra le maggiori lacune. Lo spessore tecnico di alcuni elementi non è in discussione, ciò che preoccupa è la scarsa capacità di dialogo che troppo spesso appalesano i loro protagonisti. Se Brugman potesse avere un “collega” in grado di comprendere i suoi stessi tempi di gioco, tutto sarebbe molto più semplice e lineare. C’è da auspicare almeno questo piccolo ritocco nel mercato di gennaio. Altro evidente limite è senz’altro quello di non riuscire a mantenere abbastanza alti i ritmi nel corso della singola partita. Su quest’aspetto non ci resta che sperare nel salto di qualità che la faticosa preparazione estiva dovrebbe poter garantire.
Infine l’attacco, al momento uno dei migliori della categoria, nonostante il capocannoniere biancazzurro, Stefano Pettinari, sia a secco da diverse giornate. Il rientro di Leonardo Mancuso dovrebbe fornire la giusta consistenza e linearità, mentre si resta in attesa dell’apporto di Simone Ganz, che si spera fondamentale.
Qualche tifoso ha, un po’ sarcasticamente, descritto l’attuale gioco del Delfino quasi che in panchina sieda un certo Carletto Mazzone, piuttosto che Zeman … viste le lunghe e noiose fasi di gioco che caratterizzano questo periodo, tendente soprattutto a conservare il risultato. In effetti, il boemo non sente ancora “sua” la squadra, non è quindi escluso che, temporaneamente, abbia deciso di propendere per moduli meno spettacolari, ma più granitici, confidando nell’estro, in avanti, dei singoli. Se così fosse, la decisione lo sta ripagando. Ricordiamo anche che dal mercato estivo non è uscita esattamente la Rosa da lui richiesta, sta quindi, molto intelligentemente, facendo fruttare al massimo ciò che gli è stato fornito. Se i risultati continueranno a premiare questa scelta, alla fine anche la tifoseria se ne farà volentieri una ragione: meno spettacolo ma più punti, come non esserne soddisfatti?
Le prossime due gare potranno dire qualcosa in più circa le reali possibilità di questa squadra. Sabato prossimo l’Avellino in casa e subito dopo, nel secondo dei cinque turni infrasettimanali previsti in questa stagione, la trasferta di Empoli. Formazioni ostiche che potranno essere domate solo scendendo in campo con l’occhio della tigre, finora rimasto negli spogliatoi. Il rodaggio dovrebbe essere terminato, ormai si può iniziare a spingere sull’acceleratore.
In chiusura, questa volta vogliamo ricordare un Grande di questo sport, prematuramente scomparso cinquant’anni or sono, il 15 ottobre 1967. Gigi Meroni, cuore granata, genio e sregolatezza come davvero in pochi lo sono stati. Se quella maledetta sera non fosse stato investito da una Fiat 124 Coupè, beffardamente guidata dal diciannovenne Attilio Romero, futuro presidente del Torino, chissà quante altre soddisfazioni e gioie avrebbe potuto regalare agli esteti del calcio. Sicuramente avrebbe partecipato anche lui alla spedizione di Mexico ’70 e, forse, il Brasile di Pelè, non avrebbe vinto così facilmente quella favolosa finale. Oppure, molto più realisticamente, sarebbe riuscito a consegnare uno scudetto al Toro, alcuni anni prima di quello di Graziani e Pulici. Di lui ci restano pochi spezzoni di gara, immagini in bianco e nero e il ricordo di quel fantastico goal, proprio del 1967, a San Siro, quando riuscì nell’impresa di sconfiggere a domicilio, dopo tre anni d’imbattibilità, la Grande Inter del mago Helenio Herrera. “Era un simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un Paese di quasi tutti conformisti sornioni” (Gianni Brera).