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Marcinelle, tra le più gravi tragedie dell’emigrazione italiana

La vittima più giovane, abruzzese, è stata identificata solo l’anno scorso

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Strage di Marcinelle, una delle più drammatiche pagine della storia dell’emigrazione italiana (soprattutto abruzzese). Era l’8 agosto 1956 quando nella miniera di carbone di Bois du Cazier (appena fuori la cittadina belga di Marcinelle) si sviluppò un incendio che uccise 262 minatori, di cui 136 italiani, per le ustioni, il fumo e i gas tossici.

Decine delle vittime erano abruzzesi, tra loro un diciannovenne originario di Turrivalignani in provincia di Pescara. Rocco Ceccomancini, questo il suo nome, è stato identificato solo l’anno scorso grazie alla comparazione del Dna affidata all'Incc (Institut National Criminalistique et de Criminologie) del Belgio.

Alle 8 e 10 del mattino le scintille causate da un corto circuito causarono l’incendio di 800 litri di olio in polvere e delle strutture in legno del pozzo. L’incendio si estese alle gallerie superiori, a 1.035 metri sottoterra i minatori vennero soffocati dal fumo. I superstiti furono solo 12.

Ci furono due processi, nel 1964 un ingegnere fu condannato a 6 mesi con la condizionale.

Manoppello con 23 vittime fu il comune abruzzese maggiormente colpito dalla strage. 

«Dalla Majella al Belgio per cercare un futuro; dalla Majella al Belgio per trovare una morte terribile, senza il conforto del cielo» scrisse due anni fa Gino Bucci sulla pagina facebook “L’Abruzzese fuori sede” riportando la testimonianza di Carmela, tornata ad Ortona e che nel 1956 viveva in Belgio con il marito che lavorava in una miniera non lontana da Marcinelle. «Mio marito lo riconoscevo, quando tornava a casa, solo dal sorriso: una macchia bianca su uno sfondo nero» il ricordo delle condizioni di lavoro del marito che Carmela ha raccontato a Gino Bucci.  

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