Essere invisibili spesso è una condizione che molte donne subiscono in tutti i campi della vita sociale e familiare.
Nella giornata dedicata alla donna, la FIDAPA Pescara, ha voluto parlare di questa condizione femminile organizzando un incontro, presso la Galleria Spazio Bianco di Pescara, con la sociologa Eide Spedicato Iengo.
Eide Spedicato Iengo, già professoressa associata di Sociologia Generale nel Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali nell’Università “Gabriele D’Annunzio”, ricercatrice e docente nel vasto campo della sociologia applicata a tuti i campi della vita, nella sua attività di ricerca, con oltre trecentoquaranta tra monografie pubblicazioni, volumi collettanei, saggi, articoli, introduzioni, recensioni, ha studiato in particolare le realtà infantile, femminile e anziana; la dialettica inter e trans-culturale; le nuove configurazioni sociali e le relazionali legate ai processi migratori e immigratori in specie della realtà femminile.
Ma chi è invisibile e che cosa significa esserlo?
Con questo quesito la Spedicato ha affrontato la comunicazione ai presenti convenuti numerosi:
“Invisibile, dunque, è chi può essere visto ma non viene mai guardato, resta fuori dal perimetro dello sguardo, quasi sostasse in una sorta di zona proibita. Perché le donne appartengono a questa categoria? Cominciamo col precisare che nascere donna non è precisamente un grande affare. Il perché è evidente: perché è stata fissata nel tempo in un quadro ideologizzato, fitto di interdetti, limiti, sbarramenti e inscritta in una storia di destino e non di progetto: ossia in un sistema di ruoli e norme difficili da scardinare. Un tale obiettivo potrebbe essere raggiunto se si riuscisse a delegittimare quel codice sociale filisteo, fitto di inerzie culturali inceppanti e non egualitarie e quel discorso sociale e simbolico che le ha congelate in prassi imposte”.
“Ma quali sono le invisibili oggi? -ha continuato la Spedicato –
- In prima istanza le donne socializzate all’obbedienza e destinate a vite subalterne. Ma penso qui anche alle donne anziane a cui l’età aggiunge ulteriori difficoltà, alle bambine che non dispongono di guide autorevoli, alle donne separate o divorziate che vengono vessate da ex mariti e figli ingenerosi
- penso, più specificamente, alle donne che subiscono violenza o vivono situazioni di sudditanza verso mariti e figli/figlie, famiglia di origine
- a quelle che non riescono a superare l’imbarazzo della richiesta di aiuto
- a quelle che pur belle e intelligenti, si fanno trattare in modo indegno dai loro compagni. La loro passività, il loro bisogno di approvazione, a qualunque costo, le priva del rispetto per sé stesse, per dirla con Dacia Maraini
- a quelle che amano essere guardate, che cercano lo sguardo maschile per “essere”, trascurando che questo è un modo passivo di vivere che prima o poi si paga a prezzi altissimi. Lidia Ravera suggerisce, al proposito, che è meglio guardare che essere guardate: è più divertente, è un vivere da viaggiatrici, da protagoniste
- a quelle che svolgono lavori umili, di servizio, di cura (penso qui alle immigrate, per esempio, o alle tante nostre connazionali che lavorano in nero, alle quali non si offrono autentiche opportunità di lavoro garantito)
- a quelle che per riuscire nel mondo del lavoro devono omologarsi al costume maschile
- a quelle che pur entrate nella scena pubblica, sono costrette a muoversi su territori circoscritti, ad adottare comportamenti “in ruolo”; a disegnare per sé profili professionali più dimessi quasi non fosse capace di interrompere l’idea di una mediocrità di genere e non riuscisse a prendere le distanze da quell’economia di sopravvivenza che non può fare a meno delle polarità
- a quelle che sono indotte a scegliere attività meno competitive, a impegnarsi in spazi compatibili con gli impegni familiari
- a quelle che sperimentano la realtà di forme di “emancipazione sotto tutela”, che -per esempio nel lavoro- si traduce nell’evitamento delle forme di concorrenza con il mondo maschile
- a quelle che socializzate all’autolimitazione professionale e alla convinzione, ancora imperante che il lavoro femminile sia particolarmente adatto alla manutenzione della macchina sociale, si adattano a ruoli subalterni
- a quelle che, pur lavorando a orario pieno, si sobbarcano anche tutto il lavoro domestico e la cura dei figli senza lamentarsi, in una famiglia in cui anche il marito è presente
- a quelle che fanno propria la sindrome del “volontariato” che consente a molte donne di sentirsi necessarie ma non valutate.
- a quelle che continuano a interpretare il modello identitario a “pasta a sfoglia”: ossia sentirsi mogli, madri, figlie, lavoratrici impegnate più che in obiettivi di tipo individuale in prassi di cura del proprio quotidiano. “
Bisogna rimuovere il sistema delle differenze, rimuovere il sistema delle asimmetrie e delle diseguaglianze tra i sessi e riconfigurare le relazione con alla base l’uguaglianza.
Come questo può accadere? Bisogna partire dalle origini e dalla base del problema. Tutto va riconfigurato a partire dal lessico dando la giusta attribuzione al femminile delle parole, non parlare più di collaborazione, ma di cooperazione nell’ambito familiare della coppia. Le donne devono comprendere ed essere consapevoli della loro importanza sociale sia nell’ambito familiare sia in quello sociale e lavorativo. La parità di genere non è solo un fatto teorico e non deve rimanere legittimato solo dalle leggi e tutto quello che, come già è scritto nella Costituzione Italiana, deve essere finalmente portato nella realtà dando il giusto ruolo alle donne facendole uscire dalla loro invisibilità familiare, sociale e lavorativa.,
Non bisogna più pensare che la donna va “aiutata” con assistenza per i figli, i familiari deboli. Va aiutata la famiglia perché mai più deve essere solo la donna a farsi carico di tutto. Le coppie devono comprendono l’importanza che la loro unione è fondante di una vita sociale basata su una famiglia paritaria, dove non esistono ruoli legati al sesso delle persone, con un progetto comune per costruire una società giusta.
Uscire dall’Invisibilità delle donne significa farsi conoscere, rivendicare il proprio ruolo sociale e soprattutto avere consapevolezza di sé e del proprio valore.