Parlare di cucina italiana è parlare di cucina napoletana che nella storia ha dato un forte impulso sia al mantenimento della tradizione del luogo sia alla capacità di trasformare ricette adeguandole ai nuovi prodotti e alle nuove esigenze.
L’incontro conviviale della delegazione Pescara Aternum dell’Accademia Italiana della cucina, del 19 maggio, ha voluto sottolineare quanta storia e quante tradizioni ci sono nella cucina napoletana che attraverso i propri piatti racconta la storia partenopea. Storia che ha visto la commistione della cucina francese e spagnola nei periodi in cui gli Aragona e i Borboni avevano stabilito in Italia e soprattutto nel mezzogiorno le loro sedi di comando.
Molti termini, ancora usati nella descrizione delle pietanze, risentono dell’etimologia spagnola e ancor di più termini francesi che hanno caratterizzato la cucina napoletana.
La dominazione spagnola in Italia iniziò nel 1559, dopo la pace di Cateau-Cambrésis, che pose fine alle guerre d'Italia, e durò per più di un secolo, fino al 1713 e nel 1734 furono i Borboni a prendere possesso delle terre partenopee.
Le cucine reali erano una vera fucina di preparazioni ricercate e questo portò scompiglio tra le persone più povere che lavoravano come sguatteri cercando di capire ciò che comandavano i cuochi venuti con molta boria dalla Francia.
Così in una Babele fatta di odori e nuovi sapori si instaurò un nuovo linguaggio quello maccheronico, cioè del luogo dove si cucinavano i maccheroni.
Così i cuochi che vennero chiamati Monsù, da un’evidente storpiatura di Monsieur (Signore), rivoluzionarono l’antica arte culinaria napoletana creando piatti che ancora oggi deliziano i nostri palati. Questi cuochi furono fatti venire da Maria Carolina d’Austria, sposa di Ferdinando I delle Due Sicilie, per far gustare ed educare cuochi locali ai nuovi gusti ritenuti più aristocratici. Alla scuola di questi cuochi francesi si formarono cuochi italiani che seppero unire la tradizione partenopea con i nuovi gusti francesi creando una cucina che, nei secoli successivi, sono stati conservati e sempre più apprezzati entrando a far parte della tradizione. Da ricordare Vincenzo Corrado con il Cuoco Galante e Ippolito Cavalcanti con il trattato Cucina Teorico Pratica.
Dopo i saluti e la presentazione della serata da parte del Delegato Giuseppe Di Giovacchino, relatore della conviviale, tenutasi presso il ristorante Les Paillottes di Pescara, è stato l’Accademico Vincenzo D’Antuono, napoletano doc, che ha fatto un interessante excursus sulle tradizioni della cucina napoletana.
Napoli era una città ricca di tante cose, ma soprattutto della voglia di vivere nonostante la che la povertà fosse molto presente. Il popolo si nutriva soprattutto di verdure e di pasta alimenti facilmente reperibili e soprattutto poco costosi. Il primo pastificio industriale venne inaugurato nel 1833 da Ferdinando di Borbone e la produzione della pasta divenne importante a Portici, Torre del Greco e a Gragnano dove il clima ne favoriva l’essiccazione.
Nacquero così vari laboratori dove la pasta prodotta si lasciva seccare su canne di bambù appositamente posizionate in luoghi ventilati. Si narra che, proprio per facilitare questa dolce ventilazione, le costruzioni e le strade venivano edificate seguendo quelle che potevano essere i refoli che si sarebbero creati.
I napoletani detti mangiafoglie divengono poi mangiamaccheroni e la pasta vienne lavorata in diverse trafilature con la produzione di formati popolari come i vermicelli, i perciatelli i paccà ri e gli ziti.
La cucina aristocratica utilizzava pietanze cucinate in bianco, mentre il popolo mangiava piatti conditi con il pomodoro, arrivato dall’America, e con esso entrarono nella cucina popolare le patate, le melanzane e i peperoni. Queste verdure ancora oggi sono alla base di piatti eccezionali apprezzati in tutto il mondo.
Altrettanti piatti importanti tradizionali furono influenzati dai Monsù francesi come il Sartù di riso (da surtout), il Ragù (da ragout) o il Gattò di patate (da gâteau), i crocchè (da croquettes), i suppl.
Anche un dolce delizioso fu il babà (babka ponczowa) che deriva da un dolce polacco perfezionato poi dai cuochi francesi e trasformato in seguito dai pasticcieri napoletani come il babbà .
Nell’800 cominciò la lavorazione della mozzarella di bufala.
Con la cucina francese a Napoli nascono i Trionfi composizioni con piatti di carne, verdure, fagiani esposti in bella mostra e sembra che il primo a comporre questo coreografico piatto, fosse un garzone di cucina che riuscì a portare questa tecnica fino in Francia diventando un cuoco ricercato e stimato.
L’estetica oltre al gusto è molto importante tra l’aristocrazia e nel testo del Corrado c’è grande spazio alle decorazioni e indicazione su come imbandire le tavole e i banchetti e sono presenti anche i sorbetti e il caffè.
Oltre la pasta, le zuppe e i soffritti, che utilizzavano gli scarti della cucina dedicata all’aristocrazia composti da interiora da verdure scartate nelle cucine, furono piatti gustati dai più poveri. Piatti anche essi tramandati e gustati ancora oggi.
La cena conviviale della Delegazione di Pescara Aternum ha visto un menu composto da: antipasti di verdure come melanzane a funghetti, zucchine alla scapece (da un termine spagnolo escapeche che indicava conservazione di verdure nell’aceto), peperoni arrostiti, sartù di riso, salsicce e friarielli (cime di rapa raccolte anticamente sulle falde del Vesuvio) , pastiera e babà .
La pastiera, dolce pasquale per eccellenza, ha tradizioni antichissime che risalgono a circa 600 anni fa quando i pescatori in primavera andavano in mare e le mogli preparavano per loro una pietanza in un unico pasto fatto di ricotta uova arancia e grano cotto che serviva ad amalgamare il tutto. Questa unica pietanza serviva ad alimentarsi per tutte le giornate diventando poi a pasta ‘e ajer la Pasta di ieri e quindi la Pastiera.
Ancora più romantica è la leggenda che narra della sirena Partenope che per ringraziare i napoletani restituiva i cibi che le venivano offerti in primavera, ricotta uova fiori d’ arancio, in una torta unica dolce come il suo canto.
I vini che hanno accompagnato la conviviale sono stati il Fiano della cantina Sarno di Avellino e l’Aglianico Contrade di Taurasi delle Cantine Lonardo.
Durante la conviviale una nuova accademica è entrata a far parte della Delegazione di Pescara la Signora Adele Baiocchi.
L’Accademia Italiana della Cucina ha come scopo la conoscenza e la trasmissione della cultura della cucina italiana e la conviviale del 19 maggio ha rappresentato un momento importante di conoscenza della cultura delle tradizioni della cucina napoletana apprezzata in tutto il mondo.