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#FLA2014 - Francesca Serafini presenta il suo libro "Di calcio non si parla"

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Francesca Serafini, scrittrice, sceneggiatrice e linguista, è stata una delle ospiti del #FLA2014. Ha presentato il suo ultimo libro, “Di calcio non si parla”, edito dalla Bompiani, un saggio che racconta il mondo del calcio degli ultimi trent’anni. A presentarla lo scrittore Alessio Romano, accompagnato dalle letture di Domenico Galasso e le musiche di Christian Carano, nella cornice di Casa D’Annunzio. Grande risposta del pubblico che ha partecipato attivamente all’evento.

Il libro è un oggetto narrativo, che parte dal mondo del calcio per arrivare ad aneddoti famigliari. Di quella sua famiglia, da generazioni fedele ai colori giallorossi della Roma. Fra le tematiche affrontate gli scandali degli anni ottanta, ma anche il dualismo della Juventus di Trapattoni e della Roma di Liedholm. Il doping, i privilegi arbitrali, i tanti campioni portati in trionfo in questo sport. Uno su tutti? Il suo capitano Francesco Totti.

Ma il libro non si ferma a celebrare i soliti nomi noti. Ci sono anche le storie di coloro che hanno vissuto un solo momento di celebrità, un goal, un guizzo. Il calcio anche come celebrazione della giovinezza: passano gli anni, restano i colori della maglia, resta la giovane età dei loro protagonisti. Una ciclicità infinita.
E fra le tante suggestioni letterarie il libro scorre, come un pallone sul campo da gioco, portandosi dietro una positività che annienta i luoghi comuni.

Il calcio intanto, come tutti i fenomeni destinati a produrre meraviglia, sta lì: solidamente impiantato nella nostra storia nazionale come un monolite abbacinante”.

Al termine della presentazione, la scrittrice ha risposto alle nostre domande.

Le violenze nel mondo del calcio possono essere considerate come la necessità che ha l’uomo nel credere e combattere per dei colori di appartenenza, come una guerra di bande?

È una delle teorie affrontate dai sociologi e ti consiglio, a riguardo, un libro di Desmond Morris, secondo cui la violenza è la riproposizione in tempi moderni di antichi riti tribali. Nel mio libro non affronto il tema sia perché non ho una competenza specifica di sociologia e sia perché, in maniera militante, non voglio darla vinta a chi considera questo mondo con una visione crudele. Mi sono concentrata su tutta una serie di elementi positivi che ho riportato nel libro. Un po’ come dice di fare Calvino nel finale de Le città invisibili: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Ci sentiamo più italiani nell’inno cantato durante la partita della nazionale piuttosto dell’inno cantato durante una ricorrenza storica della Nazione …

Il calcio compie il miracolo di accomunare, anche quando si vive in un territorio molto diviso. Sulla nazionale c’è anche un altro aspetto da dire: la sua capacità di coinvolgimento è talmente forte che non solo ci fa sentire parte dello stesso gruppo, ma vi aggrega anche quella persona che durante il resto dell’anno è disinteressata. Come cittadina italiana spererei che si trovassero altri elementi di unione e di lotta comune. Se su altri aspetti il calcio è un cattivo maestro, su questo tema ci insegna che possiamo essere uniti, anche per questioni molto più importanti.

Il calcio italiano vive una profonda crisi. Da dove ripartire?

Molti Paesi puntano sui settori giovanili. È da lì che possono uscire campioni, per creare sul proprio territorio nazionale una scuola di calcio, un pensiero. La nazionale italiana va male anche perché nelle nostre squadre di club andiamo a prendere giocatori esteri. Non ho niente contro le squadre multietniche. Anzi, hanno valorizzato la convivenza fra diverse culture. Puntare ai settori giovanili sarebbe utile per la nazionale e per diffondere quell’idea di calcio pulito, positivo, fatto di valori.

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