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Aic, conviviale della Delegazione Pescara Aternum sulle tradizioni pastorali abruzzesi

Il tratturo è l’antica strada dei pastori transumanti. Ecco com'è andata

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Ieri sera, 16 novembre, nel ristorante “Il Regio Tratturo” di Manoppello si è riunita per una conviviale la Delegazione Pescara Aternum di Pescara dell’Accademia Italiana della Cucina. Tema della conviviale: Il tratturo l’antica strada dei pastori transumanti.

Argomento importante per l’Abruzzo che, per la sua posizione geografica centrale dell’Italia è stata sempre meta di passaggi e soste di persone e greggi.  Il vice Delegato Vincenzo D’Antuono dopo aver salutato gli accademici e gli ospiti presenti ha dato la parola ad Antonello Ricciuti che quale relatore ha parlato del tema della conviviale 

Le vie antiche, che hanno segnato con i loro tracciati la storia di alcune regioni dalla Toscana alla Puglia, sono i Tratturi. Lungo questi tracciati erbosi avveniva la Transumanza che è la tradizionale migrazione stagionale del bestiame verso condizioni climatiche migliori. 

La presenza di monti e di pascoli ha fatto della terra d’Abruzzo un luogo dove transitare e sostare portando usi e tradizioni nei territori posti a Nord e a Sud della Regione.

Si stima che in Italia, nei territori delle regioni centro meridionali, queste vie si sviluppino per circa 3.100 km. I luoghi simbolici della transumanza sono i comuni di: Amatrice (Rieti), Frosolone (Isernia), Pescocostanzo e Anversa degli Abruzzi in provincia di L’Aquila, Lacedonia in Alta Irpinia in Campania, San Marco in Lamis e Volturara Appula (in Puglia) in provincia di Foggia, insieme a territori della Lombardia, la Val Senales in Trentino Alto-Adige, e la Basilicata.

I Tratturi erano percorsi, nelle stagioni fredde, in direzione Sud verso la Puglia dove, a Foggia esisteva la Dogana delle pecore, nei mesi caldi le greggi invertivano il percorso tornando nell’Appennino Centrale nei pascoli divenuti erbosi.

Il percorso dei Tratturi dava la possibilità di conoscere luoghi e paesi con le loro caratteristiche storiche dell’architettura delle chiese e dei borghi nonché le tradizioni enogastronomiche del luogo.

I pastori, infatti, con il loro cammino non portavano solo le greggi, ma i prodotti locali sia della tessitura sia della pastorizia e sia anche dell’oreficeria e, a volta, diventavano anche corrieri di documenti da consegnare a persone che risiedevano in altri paesi. Anche l’artigianato si beneficiò di questo traffico con la diffusione dell’oreficeria abruzzese che come la Presentosa e il nodo d’amore venivano ordinati ai numerosi orafi della provincia di Chieti e de L’Aquila.

Il termine Tratturo fece la sua comparsa durante l’Impero Romano come una deformazione della parola Tractoria che indicava, nei codici di Teodosio e Giustiniano, il privilegio dato ai pastori di utilizzare i territori dello Stato per le loro attività legate alla pastorizia.

La transumanza divenne, nel IV sec. A. C., un fenomeno gestito e controllato dai Sanniti e condizionò la nascita delle città e dei centri del commercio. In epoca romana si consolidò questa pratica e nel XV secolo gli Aragonesi presero dalla Spagna, mutuandolo, un sistema detto delle Mesa e nel 1447 venne istituita la Dogana della Mesa delle pecore, vero ufficio fiscale, con sede a Foggia, dove si provvedeva ad esigere i dovuti tributi. 

Questo sistema economico fiscale si concluse, nel 1806, per volontà di Giuseppe Bonaparte. I Borboni tentarono di ripristinare il modello che per tanti anni aveva organizzato i pastori ed il fisco reggente, ma oramai il declino e la chiusura sanciti, aveva avviato in maniera irreversibile la fine di tutto.

Della storia dei Tratturi e dei loro tracciati, rimangono le piante planimetriche fatte redigere nel 1650 da Filippo di Spagna.

Il vero ed irreversibile declino dei tratturi si ebbe con l’uso della ferrovia e delle strade asfaltate dove il trasferimento del bestiame non avveniva più a piedi, ma con l’uso dei mezzi su gomma e su rotaie.

Il desiderio di conoscere e scoprire le proprie radici è sempre più necessario per la scoperta e riscoperta di alcune tradizioni locali e la Transumanza, per la sua grande importanza storica, è stata iscritta nella Lista Rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.

Maria Cristiana Serra, accademica, simposiarca dell’incontro, ha ampiamente parlato della transumanza che avveniva proprio transitando su queste antiche vie.

“Oggi   ha detto Maria Cristiana Serra - abbiamo scelto come argomento della conviviale i tratturi non solo perché qui passava il tratturo Centurelle-Montesecco, una diramazione del Tratturo Regio, ma anche per parlare del mondo che ruotava intorno ai tratturi ed all’industria armentizia, un mondo che non è legato alla sola romantica figura del pastore.

I tratturi rappresentano prima di tutto la storia di una comunità, dell’incontro tra culture simili ma diverse, come la pugliese e l’abruzzese, del distacco e della riunione, della solitudine, sia dei pastori sia delle loro mogli, ma anche della festa con il rientro a casa.

Sappiamo che i pastori percorrevano queste antiche vie, ognuno col proprio gregge, e la sera si stendevano sui prati tutti insieme, esposti al freddo e alla fatica. Il cibo scarseggiava ed era costituito essenzialmente da ricotta siero e pancotto, una semplice minestra fatta con il pane secco e condita con poco olio. Si mangiava carne solo quando qualche pecora moriva, per cause accidentali o parzialmente divorata dai lupi, forse il tutto accompagnato da quel vino che scaldava la strada e il cuore lontano da casa.

Nel silenzio delle lunghe notti, a volte insonni, il pastore impiegava il tempo intagliando legno o scrivendo i propri pensieri, per chi sapeva scrivere, un po' come faceva Cesidio Gentile, detto Jurico, il pastore poeta citato nel film “un mondo a parte”.

La transumanza, però, non segnava solo la vita dei pastori, ma anche quella delle loro mogli, che restavano sole nel periodo in cui in campagna c’era tanto da fare, le patate da raccogliere e i legumi da battere. O durante l’inverno, quando la solitudine ed il silenzio, o la morte di stenti dei piccoli appena nati, spesso faceva credere loro alle streghe ed all’esistenza di oscure presenze. Erano donne forti, le mogli dei pastori, abituate alla fatica fisica che badavano alla famiglia “da sole” per tutto il periodo della transumanza, zappando, arando, seminando e mietendo. Solo le più forti riuscivano a sopravvivere, come i loro uomini e i loro figli.

Non può non parlare, poi, dell’industria armentizia. E se i cafoni di Ignazio Silone, erano gli ultimi nella gerarchia agricola dei Torlonia, i pastori lo erano dell’industria armentizia” … “Le greggi transumanti appartenevano quasi totalmente o a grandi proprietari, gli armentari, ricchi possidenti che investivano i loro capitali nell’allevamento e nella produzione della lana, oppure ad ordini e congregazioni religiose o a feudatari locali. Quella lana, che ha arricchito famiglie come quella dei Medici, per secoli, o il formaggio che si ricavava dalle pecore, poco o niente fruttavano per i ceti inferiori.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che tra i pastori vigeva una ferrea organizzazione gerarchica. A capo stava il padrone che non interagiva con i pastori ma con il massaro di pecore” che organizzava tutte le attività connesse al pascolo. Sotto al massaro c’erano il casaro, che era addetto alla lavorazione e trasformazione del latte, ed il buttero, che sovrintendeva agli animali da soma e agli spostamenti logistici durante il periodo della transumanza. 

Poi c’erano i pastori che facevano muovere quasi 200 pecore ognuno, la cosiddetta morra, custodendole durante il viaggio, assieme ai loro fedeli cani pastori, dotati di collari di cuoio guarniti con spuntoni di ferro per difendersi dal morso dei lupi.

Ed infine, come sulle paranze c’erano i marò, qui c’erano i pastoricchi, bambini che avevano appena compiuti i 9 anni, a cui erano affidati i compiti minuti e umili. 

Vicino ai tratturi, infine, c’erano i luoghi sacri, dove pregare ed invocare la protezione divina per ottenere la forza necessaria per affrontare i rischi del viaggio. Non a caso il tratturo Centurelle-Montesecco, partiva dalla chiesa di Santa Maria de’ Centurelli, a Caporciano, per poi passare per Bominaco e la sua piccola cappella sistina abruzzese, ed ancora per San t a Casauria e a San Liberatore a Majella”

Si mangiavano legumi secchi, maccheroni, formaggio di pecora e polenta fatta di granoturco e l’uso della farina era limitato a causa della pellagra.

Per la compilazione del menu della conviviale, ha continuato Maria Cristiana Serra: “abbiamo voluto inserire prodotti di stagione e piatti della tradizione, non solo pescarese, ma anche di alcuni tratti del tratturo Centurelle-Montesecco, come, ad esempio, i ceci dell’altopiano di Navelli con i marroni, i formaggi e la pecora alla callara e anche gli anellini alla pecorara, l’agnello alla brace e i celli ripieni che venivano mangiati per festeggiare il ritorno dei pastori nelle proprie case o le feste più importanti”

Le pietanze del menu sono poi state descritte, con dovizia di particolari, dalla postulante simposiarca Lorena Marmottini.

Il ricco menu è stato preparato dai cuochi Massimo e Stefania Aceto, con la loro brigata di cucina, e in sala il direttore Roberto Cipressi.

L’attrice Franca Minnucci ospite della conviviale ha declamato la poesia di D’Annunzio I Pastori.

L’Accademia Italiana della cucina ha come obiettivo la conoscenza del territorio e la conservazione delle tradizioni enogastronomiche ed ogni conviviale è un vero momento di cultura molto apprezzato sia dagli stessi accademici sia dagli ospiti presenti.

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