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Il "Giorno della memoria" per una riflessione necessaria: 1938, 1948, 2018

Contro la presunzione di non avere più bisogno di urlare e battersi contro il male della Shoah e contro il nazismo

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Il giorno della memoria e la nostra storia: dalle leggi razziali alla Costituzione Repubblicana, in pochi anni l’Italia sceglie la via della democrazia. Oggi la storia ci costringe a riflettere sulla nostra presunzione di avere chiuso i conti con il passato.

La notte è buia e il mare appare oscuro e minaccioso. Fin quando il sereno ci guida la costa sembra una linea accogliente, ma quando le onde salgono e il vento decide di impadronirsi dei nostri destini, i nostri occhi si rivolgono dimessi al faro che domina il golfo.
Rapido, presente, pronto e giudizioso, il faro illumina il buio con il suo fascio accogliente; nel suo apparire e sparire, nel suo manifestarsi e celarsi sta la sua calma forza e noi, alzando il capo, mentre siamo presi dalle nostre fatiche, ritroviamo un punto di riferimento.
Eccolo, lo vedi? Balena e fugge; indica e poi va avanti. L’hanno edificato solido e alto per non lasciarci smarriti; si slancia di giorno con la sua forma e di notte con il suo raggio luminoso.
Eccolo lo vedi? Noi lo riconosciamo quando siamo più incerti e precari.
Ascoltalo quando è notte e il vento alza la barca e la spinge troppo rapida verso la linea tagliente degli scogli.
Lo sguardo lo cerca allora, e lui è lì: un faro luminoso nella notte.
Uomini l’hanno eretto per salvare i propri simili.
Uomini l’hanno costruito con fatica per vegliare sugli altri uomini.
Uomini l’hanno pensato, inventato, voluto per ricordare ai marinai che qualcuno veglia su di loro.
Il faro è lì, da quando abbiamo memoria.
Il faro è lì per farsi memoria.
Il faro è lì perché è la nostra memoria.

Il 27 gennaio è il giorno della memoria; la memoria terribile e quasi insostenibile della Shoah.
Il tempo corre e scorre sulle umane vicende e la notte e il giorno sembrano darsi il cambio giocando con la nostra capacità di dirci umani.
I testimoni diretti degli eventi della Shoah sono ormai pochi e sempre più difficile è ascoltare, quindi, la voce diretta e piena della loro esperienza. Organizziamo questi incontri nelle nostre scuole ogni anno in maniera più sentita e più necessaria, perché avvertiamo che il tempo fa crescere la nostra responsabilità: se i sopravvissuti saranno sopraffatti dal tempo che avvolge le umane cose, noi dovremo sostituirci a loro nella memoria; noi dovremo dare voce alla loro voce; noi dovremo essere, nei limiti delle nostre povere capacità, il faro che porta la loro luce verso il futuro.
Che compito gravoso e nobile a un tempo ci attende; un compito in cui ritrovare il suono delle loro parole e il nostro ambire a dirci umani fra gli umani: uomini che nella singolare fatica del vivere sanno congiungere il proprio destino a quello di altri uomini e sentirne il dolore, la gioia, la parola, l’ansia, l’attesa. Così abbiamo sconfitto le tenebre delle barbare azioni; così abbiamo rialzato il capo dopo il gelo: ancora abbiamo da dire, ancora abbiamo da udire.

Il tempo è passato e ogni volta mi ritorna lo stesso pensiero a proposito della Shoah. Più ho studiato, più ho letto, più ho ascoltato e meno ho capito. Le mie povere parole non sanno rappresentare l’immensità della tragedia e ne posso solo in piccola parte afferrare la complessità: com’è stato possibile? E questa domanda mi torna nel cuore e mi sembra che possa oggi affacciarsi una nuova colpa per la mia generazione che sta in mezzo, più o meno, fra quelli che vissero la Shoah e quelli che devono oggi conoscerla e riceverla come una delle pagine della storia.
La Shoah è stata storia e questo dobbiamo insegnare; la Shoah è stata storia, scelta, volontà, decisione di uomini contro altri uomini: questo sia sempre chiaro e resti scolpito nella nostra mente. Se uomini hanno potuto elaborare, gestire e compiere azioni come queste, noi siamo ancora più importanti nel nostro compito. Troppo semplice e comodo ripetere che la storia non si ripete; la storia non si ripete soltanto se noi non vogliamo che si ripeta. La storia ci dice, invece, che se una volta fu possibile tale violenza, essa sarà di nuovo possibile quando smetteremo di stare attenti.
Ed eccola allora la nuova e possibile colpa del mio mondo di oggi: la presunzione di non avere più bisogno di urlare e battersi contro il male della Shoah; la stupida e sciocca presunzione che nel nostro civile mondo ci siano gli anticorpi al male; la riposante prospettiva che ciò che accadde non potrà accadere ancora.
Eppure tanti sono i segnali intorno a noi di un disagio che riemerge, di una volontà di distruzione che sembrava sopita.
La libertà e con essa la democrazia e il rispetto non sono mai già garantite e date; i valori della libertà e della democrazia vanno esercitati, difesi, affermati sempre e di continuo. Ci siamo inchinati al vento del presente e abbiamo vigliaccamente e comodamente creduto che si potesse fare a meno di difendere la verità, di attaccare la menzogna e la cattiveria. Ci è stato comodo crederlo e il presente ci risveglia amaramente: l’antisemitismo è lì, nascosto, accovacciato nel buio pronto a tornare.

Nel 1938 le leggi razziali; appena dieci anni dopo, nel 1948, l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana e noi oggi che abbiamo forse dimenticato che siamo chiamati a schierarci a presentarci alla storia e dichiarare da che parte stiamo.

Abbiamo fatto tanti errori; quello che mi appare più grande e più fatale consiste nel aver fatto credere a tutti che la democrazia è il luogo in cui ognuno fa ciò che vuole e dice ciò che vuole. La democrazia è, all’opposto, il luogo in cui è chiaro che non si può fare tutto e non si può dire tutto. Ci sono azioni che non possono appartenere ad un paese democratico e ci sono frasi che non possono avere spazio in un paese democratico.
Ancora una volta, a costo di essere ripetitivo ricordiamoci che fra il 1938 e il 1948 passano appena dieci anni e domandiamoci a quale Italia amiamo pensare come la nostra patria.
Antonio Fresa - By mentinfuga

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