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Giovani vincenti: i Murè Teatro raccontano Pescara e si raccontano a noi

Passioni, difficoltà e sogni di giovani artisti pescaresi

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Dopo l'intervista di lunedì scorso a Barbara De Matteis che ci ha parlato della sua passione per la moda e del suo negozio Joli, a raccontare oggi la loro esperienza sono due ragazzi pescaresi che hanno fatto del teatro la loro ragione di vita. Si tratta dei venticinquenni Francesca Camilla D'Amico e Marcello Sacerdote.

Ex compagni di scuola, appassionati di teatro sin da piccoli, dopo anni di studio come allievi dello storico Piccolo Teatro del Me-ti di Paglieta (Ch), hanno iniziato un percorso che li ha portati a formare, qualche anno fa, una propria compagnia teatrale, i Muré Teatro.

Buongiorno ragazzi, come è nato da quanto tempo esiste Muré teatro?

Francesca - Si tratta di un progetto nato nel 2012, con Marcello e con il nostro amico Manuel Borgia, di Montesilvano. Inizialmente eravamo un semplice gruppo di amici appassionati di teatro, tutti allievi del Piccolo Teatro del Me-ti di Paglieta. Il fatto di aver seguito lo stesso percorso di studio teatrale è stato molto importante per noi, perché siamo partiti da una base comune che ci ha aiutati a trovare il nostro linguaggio. Nel 2013 abbiamo dato vita ufficialmente ai Muré Teatro, riunendoci in un'associazione.

Marcello - Il motivo principale della nascita del nostro gruppo è stato "Tento tanto" (il loro primo spettacolo, ndr). Più precisamente eravamo accomunati dalla voglia, anzi direi proprio il  bisogno,  di realizzare uno spettacolo insieme. Non è stato un percorso facile. Il nostro primo lavoro ci è servito più che altro per "lanciarci", ma non ci ha soddisfatti pienamente. Dopo questo primo tentativo è nata l'esigenza di fare un altro spettacolo, ci siamo quindi riuniti nuovamente ma stavolta ci siamo chiesti meglio il motivo per cui volevamo realizzare questo progetto, ci siamo fatti delle domande importanti sul nostro destino di giovani.

Ed è nato, appunto, "Tento tanto", uno spettacolo che racconta la città di Pescara. Perché avete sentito il bisogno di raccontare Pescara?

Francesca - Ognuno di noi tre si è trovato a vivere a Pescara, non tutti per scelta. Siamo partiti dal rapporto che avevamo noi con la nostra città, la città dove siamo nati e vissuti ma che, purtroppo, ci ha spesso ostacolati nelle nostre scelte, tanto da indurci ad andar via. Io, per esempio, sono tornata a Pescara dopo anni vissuti a Roma.

Marcello - Abbiamo fatto un lavoro di ricerca sulla nostra città, in modo particolare sulla zona del "Borgo Marino", quello che per noi è il fulcro di Pescara. Abbiamo intervistato anziani e pescatori, alla ricerca di storie che ci aiutassero e recuperare la memoria della nostra città.

Lo spettacolo che avete realizzato vi ha aiutati a cambiare punto di vista sulla vostra città?

Francesca - Certamente. Gli anziani pescatori ci hanno raccontato delle storie che noi non sapevamo, ci hanno parlato di personaggi, come "La Garibalda" o "Battellone", di cui noi magari avevamo sentito parlare ma ci chiedevamo se fossero davvero realtà o leggenda. Ci hanno raccontato le tante tragedie vissute dai pescatori dopo la guerra, dei tanti personaggi che giravano da queste parti (l'intervista si è tenuta proprio in un'antica casa del Borgo Marino, ndr). Insomma, tutte cose che noi, da bravi pescaresi, ignoravamo.

Avete ribaltato il luogo comune che porta a pensare a Pescara come a una città senza storia?

Marcello - Esattamente, il problema di nostri tanti concittadini è proprio questo. Si parte dal "sentito dire", dal presupposto che Pescara è una città senza storia. Invece noi abbiamo scoperto che Pescara ha una storia tutta da scoprire e da farsi raccontare.

Francesca - Soprattutto ci siamo resi conto che questi anziani da noi intervistati rappresentano l'ultima resistenza di tutta una serie di comportamenti, di un'identità che oggi, purtroppo, non appartiene più alla nostra città.

Perché avete chiamato il vostro spettacolo "Tento tanto"?

Marcello - Il titolo si ispira a una canzone del cantautore livornese Piero Ciampi. L'abbiamo scelto come nome del nostro spettacolo perché rappresentava quello che stavamo cercando di fare, un tentativo, appunto, di far cambiare punto di vista su Pescara, al nostro pubblico ma prima di tutto a noi stessi. Avevamo questo rapporto così conflittuale con la nostra città in quanto, non conoscendo la sua storia, noi stessi non sapevamo che storia costruirci in essa. Un tentativo di essere presenti, di fare qualcosa per la città, di sentirsi in qualche modo cittadini, oltre che attori, vivi e attivi.

Francesca - Nello spettacolo siamo alla ricerca di una "città futura". Antonio Gramsci parlava della città futura quando parlava degli indifferenti. Noi abbiamo fatto questo spettacolo anche per uscire dall'indifferenza a cui sei portato quando, come noi giovani pescaresi, non hai memoria, non hai presente e non hai neanche futuro.

Qual è il senso della città futura per voi?

Francesca - Il nostro percorso è proprio questo: recuperare la memoria per vivere il presente e costruire il futuro. Lo dice anche il nostro "compare", il pescatore, un personaggio del nostro spettacolo, che la città futura c'è, esiste. Sta a noi riuscire a vederla, mettendoci alla giusta distanza ma allo stesso tempo cercando di starci dentro.

"Tento tanto" è andato anche in trasferta, giusto?

Marcello - L'abbiamo portato nella provincia di Pescara e Chieti e poi abbiamo fatto una super trasferta. Siamo stati a Istanbul.

Come siete riusciti a raccontare una cosa così strettamente "territoriale", anche nel linguaggio (si parla in dialetto, ndr) all'estero?

Francesca - E' stato difficile ma anche molto divertente. In fin dei conti è vero che il nostro spettacolo parla di Pescara, ma le tematiche e le problematiche trattate sono comuni a molti. La prova è stata proprio andare a Istanbul, grazie a un progetto realizzato con un ragazzo che abbiamo conosciuto in Danimarca. Con i sottotitoli in turco proiettati sulla parete loro hanno capito il messaggio, straordinariamente ma neanche più di tanto. In fondo gli aspetti comuni tra le due città sono molti di più di quanto si possa immaginare. Anche Istanbul è una città di mare, di pescatori, è una città "spaccata" tra passato presente e futuro, con tante contraddizioni simili alle nostre.

Cosa significa "Muré"?

Marcello - In una delle tante interviste Nicola Sciarra ci ha parlato di questo "Muré". Oggi lo chiameremmo "mozzo", il grado più basso di chi sta a bordo. Abbiamo scelto di dare questo nome alla compagnia perché ci piaceva il punto di vista di chi deve arrivare.

E una volta che sarete arrivati? (ironico)

Francesca - Non si arriva mai, ce lo dicono sempre anche i nostri maestri!

E' difficile essere attori oggi?

Marcello - Assolutamente sì. E' proprio una battaglia. Nel nostro caso più che di "Giovani vincenti" parlerei di "Giovani resistenti". Si tratta duo fare una vera e propria resistenza per cercare di affermare una possibilità di esprimersi.

Francesca - E' difficile anche semplicemente affermare la propria esistenza, dire "io ci sono, io esisto". Purtroppo, oggi più che mai, il lavoratore dello spettacolo non è assolutamente tutelato. Non c'è maternità, non c'è niente. Le leggi, anzi decreti, in materia risalgono addirittura al periodo del fascismo.

Non vi definireste, insomma, vincenti, in nessun senso?

Francesca - Noi non abbiamo ancora vinto, stiamo lottando per vincere. Ma chi  deve vincere non siamo io e Marcello. Quello che deve vincere è una nuova idea di relazione, di stare insieme. Il nostro sogno sarebbe, che torni a vincere la cultura, non intesa come un qualcosa di accessibile a pochi, ma una cultura che parte dal basso, ricchissima di esperienze per tutti.

Marcello - Non mi definirei giovane vincente nel senso di giovane arrivato, ma giovane "contento" sicuramente sì. Mi sento contento, nonostante sia difficile. Sono contento perché so che sto dando il meglio che posso, sia per me sia per un mondo che vorrei diverso.

Perché e quando avete deciso di fare teatro?

Marcello - Per me è come se mi chiedessi "perché hai bisogno di mangiare?" E' una cosa necessaria, sin da piccolo. Recitavo sempre, pure quando facevo le letture in chiesa!

Francesca - Non saprei, quello con il teatro è un legame talmente innato e forte che mi chiedo addirittura da dove possa venire, essendo io ancora giovane. Penso di averlo ereditato da qualcuno, forse. Ho un forte bisogno di comunicare e reagire e il teatro è il linguaggio giusto per farlo.

Le vostre famiglie vi appoggiano in questa scelta?

Marcello - Mia madre mi appoggia, mio padre ormai è rassegnato!

Francesca - I miei mi hanno sempre sostenuta, ma mio padre in fondo in fondo spera sempre che io sposi un uomo facoltoso! (risata, ndr)

Tento Tanto è uno spettacolo ancora vivo e che state continuando a promuovere, oltre a questo avete nuovi progetti in cantiere?

Francesca - Stiamo lavorando a un nuovo spettacolo, del quale farà parte a nche Martina Morgione, che si chiamerà "Courage" (coraggio, ndr). Il titolo si ispira all'opera di Bertold Brecht "Madre Courage e i suoi figli". La nostra idea inizialmente era quella di affrontare delle tematiche comuni al mondo giovanile come il lavoro, il viaggio, i sogni, le speranze. Tutte queste tematiche ci hanno automaticamente ricondotti ai temi dell'immigrazione e della guerra. 

Marcello - Abbiamo svolto ancora un grande lavoro di ricerca, raccogliendo storie di chi l'immigrazione e la guerra l'hanno vissuta, a partire dai tanti abruzzesi che in passato sono stati costretti a emigrare all'estero.

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